La febbre del vintage: quale cura sostenibile? (parte 1)
La febbre del vintage si direbbe non riuscire a passare. Un po’ tutti noi, perennemente alle prese con acquisti, vendite, scambi di strumenti musicali, nell’approcciarci a un qualsiasi vattelappesca finiamo per avvertire un solletico alla base del collo, una vocina che sussurra melliflua: “… ma suonerà come i vattelappesca d’annata?”
Di Jacopo Mordenti
Non c’è antipiretico che tenga: la risposta, accompagnata da un sospiro funereo, perlopiù sarà NO. Né a ben vedere potrebbe essere altrimenti, perché con fin troppa facilità ci dimentichiamo come il suono con la S maiuscola – quello marchiato a fuoco nella carne di noi musicisti, quello che ci fa adottare un atteggiamento fideistico al limite del ridicolo, per cui “solo se è vecchio è buono” – è stato ed è tuttora il prodotto non di una singola macchina, ma di una combinazione ragionata di macchine: ad esempio la combinazione fra il sintetizzatore X, il preamplificatore Y e il registratore a nastro Z.