Amare il proprio delay – Settima parte

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In precedenza, abbiamo visto come spremere comportamenti timbrici meno banali del solito utilizzando il meccanismo di delay time modulation per sfruttare gli artifici timbrici ottenibili attraverso contrazione e dilatazione del segnale audio catturato in RAM. La procedura è espandibile su larga scala tanto all’interno di un linguaggio di programmazione, quanto nella pratica quotidiana “con le scatolette hardware”, a patto di avere accesso ad un minimo di controllo parametrico.

Di Enrico Cosimi

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Come è facile immaginare, occorre un minimo di pazienza per definire il comportamento utile e delimitare i valori di controllo superati i quali il risultato diventa ingestibile; altrettanto facilmente, quelli che per molti potrebbero essere solo rumoracci inutilizzabili, potranno risultare fonte di ispirazione per il musicista più attento a determinate sperimentazioni. Oggi, approfondiremo il meccanismo di controllo applicato ad una struttura di delay multiplo. Ma prima…

Amare il proprio delay – Quinta parte

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E’ il momento di rovinare la struttura delle ripetizioni di delay per sfruttare dal punto di vista timbrico/espressivo le conseguenze del RAM squashing. Quando il tempo di ritardo viene modulato dall’esterno – per come è scritto il delay del Clavia Nord Modular G2 – si assiste ad una contrazione (con conseguente incremento dell’intonazione percepita) e una dilatazione (con abbassamento dell’intonazione) del segmento catturato. Se l’operazione è fatta con morbida accuratezza, avendo cura di scegliere forma d’onda e indice di modulazione sufficientemente plastici, si raggiunge un comportamento assimilabile ai vecchi Varispeed di analogica memoria.

Di Enrico Cosimi

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Ma se la cosa è portata avanti con voluta rozzezza, facendo fare salti inconsulti al parametro destinazione e scombiccherando il contenuto della RAM di delay, si otterranno interessanti esempi di distruzione timbrica. Da non sottovalutare.

Amare il proprio delay – Quarta parte

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Abbiamo visto come mettere in piedi una semplice struttura di looper sfruttando il meccanismo di delay con feedback incondizionato. Prima di lanciarci verso più scomode mete, può essere il caso di prendersi una pausa giocando a moltiplicare la linea di loop per realizzare incastri, poliritmie e sovrapposizioni timbriche.

Di Enrico Cosimi

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Come è facile immaginare, il nostro “looper del poveri” è privo di tutte quelle funzioni di Undo/Redo che sono pressoché indispensabili in qualsiasi realizzazione commerciale; inutile dire che, lavorando con un linguaggio di programmazione più basso, sarebbe possibile implementare ogni cosa… nella struttura Clavia NMG2, ci limiteremo a moltiplicare la funzione già raggiunta, senza pretendere la luna.

Amare il proprio delay – Terza parte

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Proseguiamo nella nostra cavalcata di apprezzamento nei confronti della linea di ritardo; dopo aver visto come realizzare i percorsi di feedback regolabili, dopo aver apprezzato (o tollerato) le caratterizzazioni timbriche di filtraggio e le fluttuazioni di velocità sulle ribattute, è il momento di sfruttare a fondo una delle più divertenti funzioni ottenibili con il feedback a tavoletta: il comportamento di looping incondizionato.

Di Enrico Cosimi

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Premesso che, come looper’s delight insegna, di apparecchi per inanellare il segnale è pieno il mondo e occorre il massimo rispetto nei confronti dell’argomento, la chiave di volta del meccanismo che vogliamo implementare è rappresentata dalla possibilità di mettere a manetta la quantità di feedback creando un meccanismo di ricircolo virtualmente indipendente dalle condizioni esterne. In pratica, una volta che la linea di ritardo ha catturato un segnale audio, e una volta che questo torna in rapporto unity gain 1:1 all’ingresso del delay stesso, il meccanismo può ripetere all’infinito la frase catturata. Finché Morte non ci separi…

Amare il proprio delay – Seconda parte

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La volta scorsa, ci siamo occupati di costruire una struttura minima di sintetizzatore e un altrettanto minima struttura di ritardo con la quale governare il delay time, definire il rapporto tra segnali wet e dry, impostare la percentuale di ribattute in feedback. E’ giunto il momento di modificare, peggiorando o migliorando, a seconda dei casi, il funzionamento della struttura fino a raggiungere nuove e inesplorate regioni timbriche.

Di Enrico Cosimi

Delayed Flights

Premesso che, di nuovo e inesplorato, nel territorio della sintesi timbrica c’è veramente poco, è chiaro che stiamo per sottoporre la struttura di base ad una serie di modifiche con le quali ragionare, riflettere, sulle peculiarità di funzionamento. Ancora una volta, l’obiettivo finale è quello di amare il proprio delay quale che esso sia, per quello che fa, per come lo fa. Procediamo per la tombola.

Amare il proprio delay – Prima parte

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Apparentemente, un delay (analogico o digitale che sia) si limita a ripetere il segnale che riceve al proprio ingresso… Dai primi esperimenti con i registratori magnetici, lungo tutta l’evoluzione tecnologica seguente fino ad oggi, il musicista distratto potrebbe considerare il delay come un semplice pappagallo ammaestrato; in realtà, è possibile utilizzarlo per togliersi diverse soddisfazioni. O, se preferite, lo si può ammaestrare meglio.

Di Enrico Cosimi

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Nel corso di questi appuntamenti, vedremo di aprire il cofano e scendere in profondità all’interno del suo funzionamento utilizzando, al solito, l’instant classic Clavia Nord Modular G2 come piattaforma di sperimentazione. Come è facile immaginare, per sperimentare approfonditamente il meccanismo del delay, occorre un segnale audio da ripetere: per questo motivo, dovremo costruirci il sintetizzatore più semplice del mondo, in modo da avere sempre a disposizione una sorgente su cui contare.

Il grande gioco di fine Estate…

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Grazie al cielo, questa inquietante Estate 2014 sta volgendo al termine – perlomeno nel senso del calendario… Come tradizione, non può mancare un quiz con il quale mettere alla prova le proprie opinioni. E le proprie orecchie.

Di Enrico Cosimi

gioco

L’idea è relativamente semplice: grazie alla compiacenza di amici e parenti, si prendono sedici sintetizzatori diversi, li si imposta su un comportamento monofonico, se ne programma una timbrica generica e ci si registra un file .wav senza troppe pretese.

A questo punto, la domanda: avendo l’elenco dei sintetizzatori da una parte e la sequenza dei file audio dall’altra, sareste in grado di fare gli accoppiamenti giusti?
In bocca al lupo…

Giovanotti andiamoci piano – Beatstep non è una drum machine

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Il successo commerciale di Arturia BeatStep – un sequencer CV/Gate, MIDI, USB a meno di 100 euro… – ha risvegliato in molti musicisti il desiderio sopito di automazione esecutiva, sia essa applicabile in contesto melodico, sia in panorami ritmici. Il problema – ed ecco il perché stiamo evocando il parruccone giovanotti, andiamoci piano… – è relativo alla natura squisitamente monofonica e mono linea del Beatstep. Nulla di più lontano dalla normale programmazione ritmica pattern.

Di Enrico Cosimi

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Di fronte al prezzo irresistibile e alla presenza dei sedici tastoni retro illuminati, scatta l’equazione: BeatStep = Drum Machine, oppure: BeatStep = Drum Programmer. Non è così. Il limite insuperabile, nell’utilizzo ritmico/percussivo, è la natura squisitamente monofonica dell’apparecchio di controllo. Andiamo per ordine.

Giovanotti, andiamoci piano – quando USB non trasmette il MIDI

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Nel mondo della produzione elettronica, abbiamo compiuto in maniera indolore un giro di boa quando, con l’abbandono del MIDI su pentapolare DIN, ci si è lasciati morbidamente scivolare tra le braccia del connettore USB. Anche se la terminologia è rimasta quella (MIDI Channel, Program Change, eccetera…), le cose sono cambiate drasticamente in favore di una maggior velocità e semplicità d’uso.

Di Enrico Cosimi

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A seconda delle piattaforme con cui si lavora, e dell’integrazione dei meccanismi class compliant, eccetera, il protocollo USB può essere completamente trasparente per il musicista, o richiedere un minimo di tuning per funzionare al meglio. Non è questa la sede per addentrarsi nelle sue caratteristiche di funzionamento… qui, quello che ci preme è ragionare sulla differenza tra MIDI over USB, MIDI “normale e “USB” normale.

Ancora sulla parafonia…

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L’introduzione sul mercato del Roland AIRA System-1 ha nuovamente innescato, in diversi forum, l’antica diatriba tra polifonico e parafonico: il nuovo sintetizzatore targato Roland permette l’esecuzione con quattro note simultaneamente impegnate e, da un ben noto recensore, è stato (a torto) etichettato come parafonico. Quale migliore occasione per ritornare sui due concetti, verificando come, per il System-1, si debba parlare di polifonia?

Di Enrico Cosimi

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Per prima cosa, abbozziamo due definizioni. Polifonia: la capacità, in uno strumento musicale, di generare simultaneamente un certo numero di voci tra loro indipendenti per intonazione e articolazione. Così come nel pianoforte, la polifonia non prevede automaticamente la capacità generativa di timbriche diverse (in questo caso, si parlerebbe di poli timbricità), ma considera come capacità evidente la possibilità di far intonare individualmente le note eseguite (basta premere sui tasti giusti) e di articolarle in maniera altrettanto controllabile indipendentemente (basta avere una sufficiente tecnica pianistica).

Parafonia: nell’antico mondo analogico dei primi strumenti elettronici, la possibilità di generare voci di polifonia, limitando lo sforzo tecnico alla sola generazione e facendo confluire le voci parafoniche all’interno di un singolo canale di articolazione (amplificatore più inviluppo) e trattamento timbrico (filtro).

Continuiamo a ragionare.

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