Intervista a (un) Invisibile Unicorno Rosa

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Un gruppo di tre amici, tanta passione e molta originalità è quanto si avverte nel primo sforzo del gruppo “Invisibile Unicorno Rosa” dal titolo “Tipo un flusso di coscienza”. Lanciamoci alla scoperta di questo interessante lavoro con una intervista a Jacopo Mordenti, tastierista e arrangiatore della band.

Di Antonio Antetomaso

COPERTINA

Allora ragazzi, rompiamo subito il ghiaccio partendo dalla domanda che forse tutti i lettori si staranno ponendo iniziando a leggere queste righe: nome del gruppo assolutamente singolare e “fuori dalle righe”; perchè? Da dove viene?

Molto prima che un gruppo musicale, l’Invisibile Unicorno Rosa è una divinità satirica creata per portare alla luce le contraddizioni del teismo: il metodo e gli argomenti alla base di questo pseudo-culto sono logicamente e dialetticamente solidi, ma conducono di fatto a risultati esilaranti. Già qualche anno fa mia moglie mi aveva raccontato – divertita – di questo equilibrio fra solidità intellettuale e leggerezza comunicativa: un equilibrio che mi è appunto tornato in mente mentre eravamo alla ricerca di un nome efficace per il gruppo.

Eh eh eh, titolo singolare come le motivazioni alla base di esso. Che ne dite allora, prima di addentrarci nei dettagli del vostro lavoro, di parlarci un po’ di voi: come nasce il vostro gruppo e la vostra musica?

Il nucleo originario del gruppo è rappresentato da me e Fabio (Boila, basso): suonavamo insieme già ai tempi del liceo, per capirci. Nel 2012 abbiamo abbandonato – per così dire – la forma canzone, mettendoci al lavoro su qualcosa di relativamente diverso, pur sempre funzionale alla dimensione live: una sorta di flusso sonoro in divenire, dal sapore latamente elettronico, in grado non di imporsi, ma di modellarsi sull’atmosfera del momento. Nella primavera del 2014 si è aggiunto a noi Gabriele (Giovannini, chitarra): l’interplay ne ha guadagnato, e così anche quello spirito autoironico alla base dell’Invisibile Unicorno Rosa; in termini di colori, direi che la sua chitarra elettrica ha contribuito a screziare la nostra musica di rock.

FIGURA 1

E arriviamo allora al primo frutto di questa vostra collaborazione: il vostro primo disco. A cosa vi siete ispirati (se si può dire naturalmente) e come è stato concepito?

“Tipo un flusso di coscienza” vuole essere la declinazione in studio dello spirito da palco dell’Unicorno. In questo senso, si tratta di un lavoro compromissorio: le quattro tracce, per durata e struttura, rimandano più a delle canzoni strumentali che non a quei flussi sonori di cui parlavamo, ma credo del resto che sarebbe un errore considerare equivalenti due contenitori così diversi come un EP e una performance live. Direi a ogni modo che la bussola non è stata abbandonata: in fase di registrazione abbiamo resistito a molte delle tipiche tentazioni da studio – su tutte, la moltiplicazione delle tracce come se non ci fosse un domani – proprio nell’ottica di potere rieseguire e dilatare live, con un buon grado di approssimazione, questi quattro pezzi.

 

Ascoltando i vostri brani (debbo dire con molto interesse) si avverte quasi da subito una caratteristica che li accomuna: la quasi totale assenza di armonia. Mi spiego meglio: ogni brano sembra essere costruito su non più di un accordo e non più di una struttura ritmica di base. Quasi come un grosso drone, con la differenza che si apprezzano in ogni caso strutture melodiche, assoli e sequenze che non sono proprie della drone music. E’ così? Ci dite qualcosa di più?

E’ così. Come dicevo, l’idea di partenza è animare un flusso che avvolga l’ascoltatore, senza però costringerlo a concentrarsi sulla musica: può farlo, e magari apprezzare gli intrecci fra le parti, i pieni e i vuoti, le modulazioni più o meno sottili; ma può anche non farlo, e scoprirsi soltanto a tenere il tempo guidato incosciamente – per dire – dalla cassa in quarti. Il parallelo che proponi con la drone music è interessante, perché in effetti in questo come in altri lavori abbiamo voluto prescindere dall’armonia; credo di poter dire però che l’Invisibile Unicorno Rosa risulti decisamente più fruibile – ballabile, persino – rispetto al più timido dei droni.

FIGURA 2

Decisamente si, se non altro per gli incastri ritmici assolutamente esterni alla drone music. Altra domanda: tutti i vostri brani presentano qua e là delle frasi parlate che sembrano venir fuori dalla vostra quotidianità (amici, eventi, abitudini): il risultato è interessante e conferisce in qualche modo un “marchio” al vostro lavoro. Come mai questa scelta che tra l’altro ho udito anche in altri brani esterni al vostro disco? Quale lo scopo?.

Alcuni nostri amici, con il tempo, si sono prestati a farsi campionare alle prese con frasi quando sarcastiche, quando surreali, quando nonsense. Concordo con te: da un certo punto di vista anche questo è un “marchio” dell’Invisibile Unicorno Rosa, che mi sento di ricondurre a quella volontà di inseguire una certa leggerezza di cui parlavamo all’inizio. Nemmeno il più curato dei nostri pezzi deve farci dimenticare quanto sia importante non prenderci troppo sul serio: perché a volte il vero ridicolo si annida nel non concedersi mai una risata.

 

Scendiamo sul tecnico: raccontateci qualcosa della strumentazione utilizzata per la realizzazione dei brani e, se possibile, delle tecniche alla base delle timbriche impiegate, alcune delle quali sembrano assai complesse e ricercate.

In realtà “Tipo un flusso di coscienza” è stato prodotto con spirito molto pragmatico, ricorrendo a strumentazione tutt’altro che esoterica. La ritmica è stata costruita intrecciando fra loro due istanze di Addictive Drums di XLN (la prima per un drumkit acustico, la seconda per un set di percussioni) e un’istanza di Ocet Rhythm Machine di Elektrostudio, sporcata per l’occasione dal Lo-Fi di Plug&Mix; i pattern impiegati sono stati in parte programmati da me, in parte sono farina del sacco della stessa XLN o di un produttore terzo quale Groove Monkee. Per quanto riguarda le mie parti di tastiera mi sono imposto di utilizzare non più di tre sintetizzatori del mio parco macchine, nello specifico Ultranova di Novation, V-Synth XT di Roland e Matrix 1000 di Oberheim: questo limite, combinato a quello di non concepire mai più di due parti in contemporanea, ha risposto all’esigenza di poter suonare live le tracce dell’EP senza particolari complicazioni logistiche; ha anche voluto dire lavorare di cesello con la programmazione, sfruttando quanto più possibile le diverse risorse a disposizione integrandole solo occasionalmente con effetti a valle (su tutti l’Echoes di Nomad Factory). Una quarta macchina che ho usato massicciamente è stata il MIDI MuRF di Moog, per certi versi una costante negli arrangiamenti dell’Invisibile Unicorno Rosa: per l’occasione ha filtrato, clockato sui sedicesimi, gli oscillatori nudi e crudi dell’Analog di Ableton Live! 9. Il basso impiegato da Fabio, un Fender JazzBass 4 corde, è stato registrato sfruttando l’uscita di un piccolo amplificatore della serie BG250 di TC Electronic; ancora in fase di preproduzione siamo ricorsi alla tecnica del re-amping per processare, con molta parsimonia, il suono di basso con alcuni effetti a pedale, come il Bass Big Muff di Electro Harmonix o l’Ultra Shifter, il Dynamic Wah e l’UItra Bass Chorus di Behringer. Anche per la chitarra di Gabriele – una Fender Stratocaster – siamo ricorsi al re-amping, appoggiandoci prima alle funzioni DI del Punch Factory di Aphex, e poi a una semplice catena distorsione > modulazione > ritardo > amplificazione ricostruita virtualmente con il Pod HD Pro di Line6.

FIGURA3

In merito all’ambiente di produzione, avete operato in autonomia o vi siete avvalsi di uno studio di registrazione? Se si, in che momento della produzione?

La registrazione delle parti è avvenuta in ambiente domestico, utilizzando attrezzatura budget rodata da anni come il mixer Behringer DDX3216 e la scheda audio 1616m di E-MU; in veste di DAW abbiamo impiegato Ableton Live! 9, fatto girare su un vecchio portatile HP. Per il mixaggio e il mastering, grazie anche al supporto di Simonfrancesco Di Rupo (The Soul Sailor & the Fuckers), ci siamo rivolti a uno studio terzo, l’Urban Recording Studio di Perugia: è stato Diego Radicati, il fonico residente, a curare quegli aspetti del lavoro – compressione, equalizzazione, ambienti, ecc. ecc. – troppo delicati per essere improvvisati da noi a casa. Tengo a ogni modo a precisare come appoggiarci all’Urban non abbia soltanto risposto a un’esigenza tecnica: al netto dell’ottima strumentazione hardware e software disponibile – su tutti, un bel parco preamplificatori che si è rivelato cruciale in fase di mastering – quello che chiedevamo e che abbiamo in effetti avuto da Diego è stata la pazienza di costruire, sessione dopo sessione, un dialogo lucido e costruttivo fra le parti, grazie al quale combinare gusto e professionalità fino a raggiungere un risultato soddisfacente per tutti.

 

Ultima domanda per i lettori: qualche consiglio a chi, come voi, vuole intraprendere per la prima volta un percorso di produzione musicale.

L’idea di dare consigli mi fa di colpo sentire un vecchio trombone; al più, sulla base dell’esperienza personale, posso mettere sul piatto alcune considerazioni di massima, magari in forma di domanda. Siamo sicuri che la compravendita bulimica di strumentazione sia una risorsa, invece che un ostacolo, alla concentrazione e alla competenza necessarie per avviare un percorso di produzione? Siamo sicuri, intrapreso tale percorso, di riuscire a mantenere la lucidità necessaria per confrontarci, quando necessario, con quei professionisti in grado di salvarci dall’autoreferenzialità? Siamo sicuri, a produzione ultimata, di avere un prodotto non solo soddisfacente per noi stessi, ma magari anche funzionale alla sua diffusione in quello che oggi, a torto o a ragione, è il mondo della fruizione musicale?

FIGURA4

Niente male come risposta e il vostro lavoro è un esempio chiaro di come voi la pensate in merito. Che dire, lasciamo che i lettori si esprimano nei commenti all’articolo. Segnaliamo prima di chiudere i vostri riferimenti:

vi ringraziamo della vostra pazienza e vi auguriamo buona fortuna per il vostro lavoro.

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