Anni orsono, in un’affollata edizione della Frankfurt Musikmesse, fummo contagiati dal Vostok Matrixsynthesizer e, inevitabilmente, scoppiò amore a prima vista. Ci vollero molti anni e, non ultime, i buoni uffici di Alex Cecconi, ma alla fine riuscimmo a convertire diversi litri di sangue in un esemplare Mk II, particolarmente aggressivo nel look e nelle prestazioni. Oggi, ad un passo dalla storia, quando sembra che tutto dovrà cambiare con la nuova versione Deluxe, è il momento di una retrospettiva approfondita.
Di Enrico Cosimi
Lo strumento è passato attraverso diverse fasi evolutive: la prima versione era alloggiata in un cabinet in resina plastica (non particolarmente robusto, non troppo costoso, non tanto rassicurante), con paraspigoli sempre in plastica e maniglia in stile valigiona economica; al suo interno, trovavano posto due oscillatori analogici ed un terzo oscillatore wavetable caricato con un certo numero di forme d’onda digitali ottenute per sintesi additiva e con altri meccanismi di compilazione che, a fronte di un’oggettiva blindatura, garantivano al musicista la possibilità di affrancarsi abbastanza velocemente dalle sonorità tipicamente analogiche.