Un’intervista con Dave Smith
Dave Smith non ha certo bisogno di presentazioni: oltre al primo, vero, grande, polifonico analogico professionale (lo storico Prophet 5), ha regalato al mondo il Protocollo MIDI, di fatto proiettando la musica elettronica verso livelli di diffusione e condivisione precedentemente impensabili. Dopo l’epoca Sequential Circuits, e dopo la parentesi Seer Systems, ha inaugurato DSI- Dave Smith Instruments, firma agile con cui ha messo a punto una serie di sintetizzatori analogici e ibridi che, puntualmente, hanno lasciato il segno. Abbiamo avuto l’onore di poterlo intervistare per voi.
Di Enrico Cosimi
A.C.M. Quale è l’elemento più importante che hai portato in DSI dopo l’esperienza Sequential Circuits?
D.S. Tenere la compagnia su dimensioni contenute, piccola, controllata e con un minimo di infrastruttura. A parte questo, disegno solo strumenti che hanno personalità e non mi interesso di quello che fanno le altre ditte.
A.C.M. Dopo trenta anni di produzione su larga scala dei sintetizzatori analogici, in anni recenti, molti produttori sono tornati a costruire macchine analogiche e, in certi casi, a clonare vecchie macchine del passato (ad esempio, il KORG MS-20). Noi veniamo da 30 anni di strumenti digitali che hanno separato i musicisti dalla sintesi analogica, comunque dopo il virtual analog; molti sono tornati al suono realmente analogico… Tu pensi che i sint virtual analog e i plug in abbiano aiutato a riscoprire questi strumenti?
D.S. Non proprio. Può aver aiutato le persone a riconoscere che gli strumenti software/digital sono differenti e che non suonano come il vero analogico. L’Evolver è uscito 12 anni orsono; da un certo punto di vista, noi abbiamo contribuito a ristabilire gli strumenti analogici.
A.C.M. Gli strumenti della famiglia Mopho – Tetra – Prophet sono tutti basati sulla stessa architettura di sintesi Osc, Filter, Amp, più 3 Env, 4 LFO, 4 Mod e 4 Sequenze. Questa struttura permette di ottenere moltissimi tipi di risultato sonoro. Pensi che questa architettura possa essere ancora potenziata o ha raggiunto il massimo offerto dalla tecnologia corrente?
D.S. C’è sempre qualcos’altro che può essere fatto. Il Prophet 12 è un buon esempio di come sia possibile portare la tecnologia a nuovi livelli. Altre compagnie sembrano bloccate sul ri-fare vecchi prodotti senza innovare molto, ma a noi piace fare passi in avanti. D’altro canto, la struttura di base della sintesi sottrattiva (VCO, VCF, VCA) ha superato il test del tempo dopo cinquanta anni!
A.C.M. Ci sono pochi produttori che lavorano su progetti di sintetizzatore polifonico analogico; tu hai sempre lavorato su progetti polifonici molto ambiziosi. Quali sono gli elementi critici nello sviluppo di un sint polifonico analogico? E quali sono i fattori che ne possono determinare il successo?
D.S. Non c’è una formula prestabilita. Noi vogliamo provare nuove cose per arrivare a nuovi suoni, mentre manteniamo cuore e anima analogica nei nostri sintetizzatori. Ho sempre fatto sint polifonici analogici per 35 anni, così quello che per me sembra ovvio potrebbe non risultare banale per qualcun altro.
A.C.M. Torniamo per un attimo al Prophet 5. Oggi, questo synth è “odiato” dai riparatori pigri, ma è amato dai musicisti. Rick Wright dei Pink Floyd ha sempre detto che il P5 è il suo sintetizzatore preferito. Il P5 è ancora considerato una pietra miliare ed è usato in migliaia di registrazioni e produzioni. Per questa ragione, tu sei uno dei più rispettati progettisti e costruttore di sintetizzatori; quando pensi alle caratteristiche del P5 originale, oggi cambieresti qualcosa nella sua architettura? E quale è il segreto di questo sintetizzatore?
D.S. [Il Prophet 5] Ha iniziato l’intero mercato del sint polifonico, così la gente lo ha sempre messo in relazione con l’intera categoria. All’epoca, c’erano molti limiti tecnologici, ma le limitazioni in uno strumento musicale non sono necessariamente una cosa cattiva. Ha sempre avuto un buon suono. Ma oggi, è difficile mantenere operativo un’elettronica cosi antica e complessa.
A.C.M. Secondo te, quando hai concepito il Protocollo MIDI, eri consapevole del suo potenziale impatto sul mondo musicale?
D.S. Più o meno, ma non avrei mai immaginato che saremmo stati ancora a 1.0 trenta anni dopo!
A.C.M. Don Buchla, in una FAQ, ha scritto che usa l’analogico e/o il digitale a seconda delle sue necessità (sembrerebbe un’opinione ragionevole): tu pensi che ci sia ancora spazio oggi per gli inviluppi digitali?
D.S. No, a meno di non parlare di sintetizzatori modulari. Ci sono veramente troppe limitazioni per le moduoation routings se le gestisci in analogico. Finisci per costruire un sintetizzatore veramente molto semplice.
A.C.M. Mi rendo conto che può essere noioso, perché hai lasciato fuori lo splendido step sequencer 16×4 nel P12. E, ancora, c’è qualche possibilità di vedere, in futuro, uno standalone step sequencer DSI?
D.S. E’ stata solo una decisione di design…
A.C.M. Su alcuni sint polifonici del passato, ad esempio nel Ensoniq ESQ-1, era possibile mantenere “il vecchio” suono per le voci impegnate mentre si cambiava patch memory; da un punto di vista teorico, sarebbe possibile abilitare questa caratteristica sui futuri polisynt DSI? O si tratta di un comportamento strettamente limitato al digitale?
D.S. Con il design analogico puro, ci sono alcune limitazioni, ma è solo – principalmente – questione di decidere quali caratteristiche includere in uno strumento… in realtà, non c’è limite alle funzionalità.
A.C.M. Qualcuno ci ha chiesto come mai un sint monofonico standard sembra avere sempre molta più dinamica (e un suono più forte), mentre un sint polifonico sembra avere sempre un livello più basso per ciascuna voce; nei tuoi sint polifonici usi una qualche sorta di logica “conteggio dB contro polifonia”?
D.S. E’ semplice matematica. Se hai due voci, non possono suonare allo stesso livello di una sola voce, o finisci per distorcere/clippare quando suonano simultaneamente…
A.C.M. Dopo aver affermato che il P12 è superiore al vecchio P5 come suonabilità e flessibilità, ripensando al passato, quale è la tua revisione preferita del P5?
D.S. In termini di affidabilità, non c’è paragone: la Rev 3 è l’unica su cui si può fare affidamento! Tra loro, suonano diversi, ma dal punto di vista timbrico non ho una preferenza.
A.C.M. Un’ultima domanda sul vecchio P5; perché nella LFO modulation c’è solo la rampa ascendente e nel P10 ci sono sia la rampa ascendente che la dente di sega discendente?
D.S. Ah, non me lo ricordo proprio…
A.C.M. Dopo la sontuosa implementazione di pannello del P12, hai scelto di adottare la filosofia “meno controlli, più menu” nel P12 Desktop; sei mai stato tentato di costruire un semplice synth engine completamente privo di controlli, una sorta di pura espansione di polifonia?
D.S. In realtà, no. Decidiamo su una base impostata caso per caso quello che vogliamo fare, e il modulo P12 è riuscito molto bene: molto veloce e molto semplice da usare.
A.C.M. Tempest è stato un bel successo, nel mercato dei percussion synthesizer; a te e a Roger Linn, quanto ci è voluto per svilupparla?
D.S. C’è voluto tanto tempo, dal momento che al suo interno c’è un sacco di tecnologia che abbiamo dovuto sviluppare; calcola che noi siamo una piccola compagnia per un grosso progetto. Ma ne è valsa la pena!
A.C.M. Perché nella Tempest, non avete previsto un generatore timbrico dedicato esclusivamente al suono del metronomo, invece di prendere in prestito una delle sei voci di polifonia?
L’abbiamo fatto per risparmiare una voce.
Grazie Dave, è stato un piacere e un onore poter scambiare quattro chiacchiere!
Tags: Dave Smith, DSI, P12, P5
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Comments (1)
Ciro Urselli
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Grande intervista, complimenti. Che colpaccio giornalistico !. Congratulazioni.
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