CASE STUDY – Roland Juno 60 – Prima parte
Nel lontano 1983, per offrire a più ampie fasce d’utenza un polifonico low cost dotato di memorie, Roland introduce la versione arricchita del seminale Juno 6; il nuovo modello, che (ovviamente) si chiama Juno 60, offre sei voci di polifonia con singolo DCO/Digital Controlled Oscillator, filtro Low Pass dinamico risonante, filtro High Pass statico non risonante, singolo inviluppo, singolo LFO e un cremoso chorus che contribuisce fattivamente alla bellezza del timbro. Il Juno 60 è un apparecchio, per l’epoca, economico, in grado di fornire prestazioni interessanti e, di conseguenza, non fatica ad imporsi nel panorama commerciale del periodo. Come al solito, lo prenderemo in esame dal punto di vista delle prestazioni funzionali per poterle (ri)progettare all’interno di diversi linguaggi di programmazione.
Di Enrico Cosimi
Quali sono i contendenti che il Juno 60 si trova a dover combattere? Prima di tutto, la versione Juno 6, priva di memorie, ma sempre dotata di tastiera a 5 ottave; poi, in casa KORG, il modello Polysix, lievemente più ricco nella dotazione parametrica, ma privo di un’interessante apertura verso il futuro che – sotto forma di DCB/Digital Communication Bus – metterà a breve Roland nella pole position del prossimo protocollo d’interfacciamento MIDI.