Linee guida per la programmazione dei sintetizzatori – Prima parte

Written by Enrico Cosimi on . Posted in Tutorial

Ha ancora senso, nel 2014, parlare di sintesi imitativa? E’ possibile/lecito/auspicabile utilizzare il mezzo elettronico per sostituire uno o più musicisti in carne ed ossa? Fortunatamente, no. Quello che è stato – come sempre, ogni volta che la tecnologia alza l’asticella – uno dei trend ricorrenti negli Anni 70, poi 80, poi 90 e poi 2000, cioè della simulazione virtualizzata di esecuzioni umane, oggi è solo un (brutto) ricordo del passato e, finalmente, i sintetizzatori o le batterie elettroniche possono essere usate per fare ciò che meglio riesce loro: i sintetizzatori e le batterie elettroniche.

Di Enrico Cosimi

OB-Xa big 2

Ciò nonostante, ci sono diverse tecniche di programmazione o, se preferite, di ragionamento sul suono sintetico che meritano una ri-riflessione proprio per la loro potenziale applicabilità in contesti anche non di bieca imitazione; come dire: strings e brass lasciano il tempo che trovano, ma sapere cosa li rende “sinteticamente” riconoscibili può tornare utile in differenti contesti.

Per questo motivo, ci siamo divertiti a ripescare una serie di linee guida di programmazione generica – come al solito, applicate al non mai abbastanza glorificato Clavia Nord Modular G2 – con cui ragionare proprio delle vituperate categorie di Brass, Electric Piano, Strings, Bass, Pad, Lead, Ext Input Filtering, Vocoding, Sequencing, Basslining. Tutto, alla luce del classico comportamento analogico; tutto irresistibilmente datato; tutto – onestamente – vituperabile. Partiremo con il classico Synth Brass. Buona lettura.

01 SYNTH BRASS – La teoria

Il timbro di brass, o meglio di synth brass, è per tradizione ricco di armoniche, penetrante e in grado di imporsi all’ascolto. Per ottenere un timbro convincente, è necessario lavorare sulle forme d’onda di base – quasi sempre denti di sega – e sull’interazione tra filtraggio low pass e quantità d’inviluppo ad esso applicata.

Esiste, tuttavia, una serie di passaggi obbligati che semplificano non poco la costruzione timbrica:

  1. Forma d’onda: servono molte armoniche, quindi è pressoché indispensabile lavorare con la sawtooth o la ramp, a seconda delle disponibilità.
  2. Oscillatori: almeno due, meglio tre, in lieve battimento tra loro – di solito, quando si simula una sezione fiati (anche se all’interno della dinamica synth brass), si tende all’impatto della sezione, quindi è necessario avere più di una generazione sonora per conferire la giusta massa al suono.
  3. Micro Pitch Envelope: uno degli oscillatori (il secondo dei due o il terzo dei tre, a scelta…) deve essere modulato in intonazione attraverso un pitch envelope che, in corrispondenza del Nota On, faccia partire la sua intonazione lievemente più in basso del valore nominale, fino a riassorbire, nel corso della nota stessa, l’intonazione portandola al “quasi unisono” previsto dal detune nominale. Per realizzare il pitch envelope (che in alcune macchine è chiamato Auto Bend…), basta un solo stadio di inviluppo – quindi un Decay Envelope – opportunamente invertito in polarità (deve salire verso l’intonazione nominale) e regolato per far coincidere il suo valore zero con la minima modulazione; la velocità dell’inviluppo può essere contenuta nell’ordine di qualche centinaio di millisecondi. Ovviamente, gusto personale e requisiti esecutivi faranno optare per una regolazione piuttosto che per un’altra.
  4. Filtraggio: quasi sempre Low Pass, con un pizzico di Resonance, non tanta da ingenerare auto oscillazione, ma solo per enfatizzare le armoniche corrispondenti alla frequenza di taglio; alternativamente, specie nelle incarnazioni più canoniche – basti pensare al classico timbro Jump Brass – si ridurrà al minimo la Resonance contando proprio sull’effetto rasposo delle denti di sega “nude e crude”.
  5. Inviluppo di filtraggio e inviluppo di ampiezza: devono essere regolati per produrre uno sprazzo iniziale di maggior energia, con attacco diverso da zero (normalmente, i fiati hanno un certo ritardo sull’emissione…), decadimento sufficientemente veloce per definire lo stacco iniziale, sustain elevato e rilascio non troppo corto (ma neppure così lungo da impastare le code).
  6. Aftertouch, se disponibile: è possibile, anzi consigliabile, ruotare il controllo aftertouch all’apertura del filtro, in modo da aprire gli accordi con la semplice pressione sulle note; in base alla sensibilità del controller e al tocco del musicista, potrebbe risultare utile attenuare l’indice di modulazione – ovvero, la quantità di aftertouch che raggiunge la frequenza di taglio – in caso contrario, la semplice articolazione delle note potrebbe ingenerare un doppio “filter ripe” sull’apertura della nota.
  7. Vibrato:tanto con la modulation wheel, quanto con l’aftertouch, si può dosare la quantità di vibrato che – opportunamente prodotto da un LFO con onda triangolare a 5 Hz – modula l’intonazione degli oscillatori. A differenza del pitch envelope, che influenza solo uno degli oscillatori, il vibrato dovrà essere globalmente assegnato a tutti gli oscillatori disponibili.
  8. Key Velocity: la dinamica di tastiera può essere utilizzata per modulare i punti sensibili del circuito; a seconda dello strumento che si sta utilizzando (e della sua flessibilità), può essere utile intervenire sui parametri espressivi:
    • Frequenza di taglio del filtro: maggior intensità del tocco corrisponde a maggior apertura del trattamento low pass.
    • Contrazione dei tempi di attacco negli inviluppi: maggior intensità corrisponde a maggior velocità di apertura.
    • Moltiplicazione dell’envelope amount: maggior intensità corrisponde a maggior intervento su filtro e su amplificatore.
  9. Effetti: è meglio evitare chorus e altre short modulations, che possono far perdere dinamica al timbro mandandolo “fuori fuoco”; meglio arricchirlo con un pizzico di riverbero, non troppo lungo – una short room può funzionare – per sfruttare le early reflection.

Quali modelli di riferimento?

Il classico suono chiuso da Horn Section può essere recuperato velocemente ascoltando Africa dei Toto (originalmente realizzato con una sapiente sovrapposizione di Jupiter 8 e CS-80); il suono synth brass più aggressive stab è – nell’immaginario collettivo – quello messo in piedi da Edward Van Halen con il suo Ob-Xa per Jump (Sempre sia lodato…). 

 

SYNTH BRASS – Una patch semplice semplice

Nella patch in questione, i tre oscillatori sono sottoposti al vibrato prodotto dal modulo LFO (attraverso scalatura selezionabile della Modulation Wheel o del Channel Aftertouch) e, per il solo OSC 2, all’inflessione d’intonazione attraverso Pitch Envelope – realizzato con un Decay Env invertito e fatto lavorare solo nei valori negativi (con escursione unipolare pari quindi a -1/0).

synth brass

 

Il filtraggio è di tipo canonico, con un Low Pass modellato sul classico comportamento transistor ladder (con tutte le ovvie differenze del caso, visto il regime digitale dell’emulazione).

I due inviluppi sono articolati in un classico andamento con attacco progressivo, ma l’inviluppo di amplificazione è tenuto più diretto, per garantire maggior immediatezza all’apertura; tanto l’envelope amount sul filtro, quanto i tempi ADR dello stesso filter env sono liberamente modificabili per venire incontro alle esigenze peculiari del musicista.

Il trattamento con il riverbero è semplice e non presenta alcun tipo di difficoltà.

Punti chiave:

  • due oscillatori saw wave in detune
  • pitch envelope su uno degli oscillatori
  • filtraggio 24 o 12 dB/Oct
  • Passaggio da “JumpBrass” a “TotoHorn”

Cosa ascoltare, nella sound library Clavia?

Ad esempio:

  • 1-21 HornModel
  • 1-36 AnalogClassic
  • 1-78 Warm Brass1
  • 2-2 BraBrassNL1
  • 2-42 Flasol

Buona programmazione.

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Comments (12)

  • Ciro Urselli

    |

    Questa prima lezione di come generare il suono Synth Brass per la qualità degli argomenti trattati mi ha già ripagato il canone mensile di internet. Complimenti Maestro !

    Reply

  • Alessandro

    |

    Aspetto con fiducia la sezione dedicata ai pads, caldi, corposi ed eterei…acquolina.

    Reply

  • Emanuele

    |

    Ciao Enrico scusa se mi intrometto nell’articolo, avrei bisogno di un consiglio per un acquisto e non saprei proprio dove scriverti,
    in poche parole: Volca Keys o Microbrute?
    Vorrei sapere tu personalmente quale preferisci?
    Grazie!

    Reply

      • Emanuele

        |

        Ti ringrazio!
        In effetti provando Volca Keys ho riscontrato che quello che gli manca è proprio il carattere :)

        ps: complimenti per l’articolo!

        Reply

      • michele

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        un pò OT, una domanda ad Enrico e tutti voi:
        – Fino a che versione del Mac OS X funziona il Nord Modular Editor (non la demo)? Mac OS Lion oppure anche oltre?
        Grazie, ciao

        Reply

        • Enrico Cosimi

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          fino al 10.6, senza problemi; dal 10.7 in poi, devi ricorrere alla versione PC e “wrapparla” con WINE BOTTLER

          se cerci Wine Bottler qui su Audio Central Magazine, c’è un bellissimo articolo di Luca Capozzi sulla procedura da seguire!!!

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  • Francesco

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    Il mio gira apparentemente senza problemi su Mavericks…

    Reply

  • Enrico Cosimi

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    questa è una GRANDE notizia; stai dicendo che il Clavia Nord Modular G2 Demo Editor gira tranquillamente su Mavericks? :-) :-)

    Reply

  • Antonio Antetomaso

    |

    Ciao, sei sicuro? Ho appena provato e non va, giustamente, essendo una applicazione PowerPC. Il supporto per applicazioni PowerPC mediante lo strato Rosetta è stato eliminato dalla versione 10.7 di Mac OSX.

    Come hai fatto?

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  • luca

    |

    :’ ) ….grazie…

    Reply

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