Un’intervista con Eugene

Written by Antonio Antetomaso on . Posted in Events, no-categoria

Il giorno 16/12/2014 è uscito su iTunes e nei principali negozi di dischi l’album di esordio di Eugene, un artista elettro-pop brillante e raffinato, che ha fatto della sua passione più grande, la musica e i sintetizzatori, il suo lavoro. Eugene milita nel panorama musicale da diversi anni come musicista e arrangiatore. In seguito a questa sua prima esperienza di lancio sul mercato discografico con un lavoro tutto suo,  abbiamo pensato di chiedergli  di condividere le sue esperienze. L’album si chiama “Eugene” e a raccontarcelo è proprio l’autore in persona: partiamo senza indugio.

Di Antonio Antetomaso

COPERTINA

Allora Eugene, da cosa iniziamo? Che ne dici di raccontarci come nasce il tuo nuovo album e quale è il suo filo conduttore?

Questo disco vede la luce dopo una lunga fase di stesura dei brani, spesso testati in occasioni “live” sia in Italia che all’ estero e dopo un’altrettanto lunga fase (due anni circa) di  intenso lavoro in studio. Non essendoci un tema unico, i fili che tengono le canzoni l’una legata all’altra sono molti e spesso legati a mie riflessioni o esperienze con il mondo che mi circonda: c’è l’amore, la spiritualità, la tecnologia ma anche i sogni, l’irrazionale…l’oggetto che meglio riassume l’essenza dell’album potrebbe senz’altro essere il caleidoscopio!

A cosa ti sei ispirato per la sua realizzazione? Intendo in termini di artisti.

Non mi piace la programmaticità nei riferimenti quando compongo, ma senz’altro posso citarti alcuni tra i miei artisti preferiti di sempre: Pink Floyd, Queen, David Bowie, Beatles, Police, Brian Eno, Duran Duran, Franco Battiato, Kraftwerk…e ancora più indietro Bach, Schubert, Stravinsky…ti prego, fermami (sorride).

 

Parliamo della tracklist: come è stata costruita? 

Per ragioni di vicinanza nelle tematiche e soprattutto nei suoni, ma non è stato così difficile. Tuttavia è tragicamente curioso constatare che nel formato digitale questi ragionamenti siano totalmente privi di senso, non trovi? In tutta onestà, non avrei piacere se un mio ipotetico concept album venisse fatto a pezzetti per la vendita online…sarebbe come prendere un film e venderne separatamente le scene , assurdo.

 

FIGURA1

Avendolo ascoltato mi trovi decisamente d’accordo. Fermi restando sull’uscita dei singles, per come è costruito trovo che il tuo lavoro possa essere apprezzato appieno solo se ascoltato nel suo insieme. Dividerlo in tracce potenzialmente acquistabili singolarmente significherebbe privare l’ascoltatore di una delle peculiarità più apprezzabili del tuo disco, la continuità narrativa, che però, permettimi, è avvertibile solo dopo un ascolto più attento, o sbaglio? Come se fosse una “sorpresa da ricercare”…

La natura pop di queste canzoni permette di fermarsi alla prima impressione, al bel vestito, al make-up seducente:  d’altra parte ci sono i contenuti, ma questi non è detto che vengano sempre capiti. Non me ne faccio un problema, d’altronde il “teorema di Enola Gay” [una super-hit degli OMD,ndr] non fallisce:  Enola Gay parlava della tragedia nucleare di Hiroshima, ma vallo a spiegare a chi andava a ballarla in discoteca!

 

FIGURA2

-Andiamo avanti, con quali artisti hai collaborato per questa produzione e quale di essi ti ha regalato il contributo maggiormente prezioso per te (se si può dire naturalmente)?

Sono molti gli artisti che mi hanno affiancato in questa avventura: il batterista e programmatore Armando Croce, il polistrumentista e tecnico del suono Nick Valente, i chitarristi Giovanni Di Caprio e Alessandro Camerinelli, la cantante Laura Serra e l’attore Enzo Provenzano, che partecipa con un cameo in stile “poliziesco anni ’70” nel brano “The Perfect Crash”.

Con immenso piacere ringrazio gli amici Garbo e Andy [Fluon, Bluvertigo], che rispettivamente alla voce e al sax hanno collaborato su una traccia intitolata “Megahertz”: disarmanti nella loro modestia quanto grandi nella loro arte.

Il tocco finale l’ha dato Mike Marsh [mastering engineer presso The Exchange Studio, Londra, ndr]…ebbi quasi un colpo quando, rientrando in sala dopo una breve pausa, lo trovai intento a utilizzare come reference un album dei Depeche Mode da lui lavorato [Ultra, ndr] per il mio master! “Che onore!” dissi, e lui: “Trovo molte similitudini nel sound, questo sarà uno dei punti di partenza”.

Ma senz’altro è stato Nick a dare il contributo più importante…parlo di sensibilità oltre la mera competenza tecnica, e parlo di prezioso dialogo. Inestimabile.

 

Parliamo dell’equipment: con quali strumenti elettronici hai realizzato il disco?

La scelta che ho fatto nella produzione è stata quella di utilizzare le macchine reali piuttosto che ricorrere alle emulazioni software. Ci sono molti strumenti storici come il Minimoog model D e i suoi “fratellini” Liberation e The Rogue, il Theremin, poi i Roland Jupiter 8 (senz’altro uno dei signori incontrastati degli anni 80!) e Alpha Juno 2, un synth modulare custom (progettato da Lazzari / Monti nel 1979), oltre ad altre macchine degli anni 90 e 2000 (drum machines, sintetizzatori, harmonizer e vocoder) e fino a giocattolini interessanti quali lo stilofono, la casio vl-1 (il mio primo sintetizzatore!), lo speak&spell e la batteria mattel synsonics. Menzione a parte, anche se non appartengono alla famiglia degli elettronici, meritano il Fender Rhodes Mark I e un piano verticale Kawai per completare lo studio rig.

 

Accipicchia!! Tutti tuoi?

Alcuni miei, altri provvidenzialmente forniti da amici e collaboratori…su tutti Daniele Nonne, Francesco De Nigris e Paolo Prevosto [Simulakrum Lab, ndr]

FIGURA3

 

Quanto contano i virtual instruments nella tua produzione o, meglio, quanto è influenzata la tua creatività dalle nuove tecnologie informatiche al servizio della musica?

Mi piace utilizzare i virtual in fase di composizione. Successivamente applico un principio di “selezione naturale” basata sui miei gusti, quindi sulla forma con cui voglio modellare l’arrangiamento. Credo che la tecnologia sia uno strumento prezioso ed estremamente ricco di risorse, ma che necessiti sempre di una guida creativa. Oggi più che in altri periodi storici abbiamo una gamma infinita di suoni a nostra disposizione, non ci resta che scegliere quali si avvicinano di più al disegno che abbiamo nella nostra mente.

 

Ho notato che nell’album viene usato parecchio il vocoder. Ci racconti del tuo rapporto con questo strumento? Come lo adoperi? 

E’ uno degli strumenti che amo di più: il vocoder mi offre la possibilità di modulare con mia la voce, o con un qualsiasi altro strumento, il suono di un sintetizzatore. Come fan di Go Nagai (nonché di Laurie Anderson e dei Kraftwerk) non potevo chiedere di meglio alla tecnologia! Al cospetto di tali maestri ho iniziato una ricerca verso il mio suono personale, che ho trovato combinando il vocoder di cui sopra con l’harmonizer, strumento diverso per costruzione e funzionalità che utilizzavo già da tempo per aggiungere “polifonia” alle mie linee vocali. Ovviamente la ricerca non si è fermata qui: nel brano che chiude l’album [The Moon is bigger than the Earth], ad esempio, ho filtrato la cassa di una drum machine nel vocoder della mia K-station ottenendo così un elemento ritmico e allo stesso tempo armonico inserito nel drumming di Armando.

 

Ci racconti qualcosa dello studio di registrazione e dell’equipment utilizzato?

Le registrazioni sono state effettuate con vari (tanti!) preamp sia valvolari che solidstate, a seconda del suono che avevo in mente e volevo ottenere. Poi abbiamo mixato in digitale su Logic pro 8 utilizzando un sommatore analogico della Dangerous per i gruppi.

 

FIGURA4

Ritorniamo a parlare della tracklist, mi ha incuriosito molto il titolo “Dior DNA” di uno forse tra i brani più significativi del disco. Perchè questo titolo? Di cosa parla il brano?

E’ un mio personale omaggio a P. K. Dick. e al suo racconto “Ma gli androidi sognano le pecore elettriche?” divenuto un grande successo grazie alla sua rielaborazione cinematografica “Blade Runner”  ad opera di Ridley Scott . Il testo ha in effetti un carattere molto cinematografico, cambia spesso inquadratura e “io” narrante, per sfumare i personaggi l’uno nell’altro e infine confonderli…esseri umani e replicanti…fantascienza? A pensarci bene sembra la realtà di oggi. Il titolo potrebbe essere un DNA griffato o il nome di un profumo,ma se lo leggi al contrario…

 

Ehehe…ne sai una più del Diavolo. A pensarci bene,  forse non sono altro che le due anime della musica che si ascolta in questo album, che ne dici? Troppo filosofica?

No, anzi…bravo! Credo sia un’ottima interpretazione. 

 

E partendo proprio da quanto mi hai detto, in effetti altra cosa che si avverte ascoltando il tuo lavoro è la continua ricerca dei particolari, dell’inaspettato, della “chicca” rilevabile solo da un orecchio attento. Mi riferisco soprattutto al tuo citare frammenti di contenuti storici, frammenti di pubblicità che hanno fatto epoca, frasi celebri. Come mai e da cosa nasce questa tua passione?

Da un lato si tratta di un gioco, dall’altro penso che abbia voluto sottolineare un legame con dei suoni della mia infanzia che mi avevano affascinato o incuriosito. La sigla delle previsioni del tempo o della fine delle trasmissioni TV, i segnali di test dell’audio stereofonico durante le lunghe notti di monoscopio, oppure le magnifiche voci delle speakers negli annunci in radio…ho sempre pensato che avessero qualcosa di magico e che prima o poi le avrei inserite in qualche mia canzone.

FIGURA5

 

Sempre sulla tracklist, il brano “We’ll never let you down” è sensibilmente diverso come stile dagli altri. Le sue sonorità rimandano suggestioni beatlesiane e la presenza di strumenti elettronici che sono un po’ il tuo biglietto da visita è molto meno avvertibile. Come mai hai inserito un brano così introspettivo e così diverso dagli altri, benchè comunque molto bello?

L’aderenza c’è, e questo brano è legato a doppio filo proprio a “Dior DNA”, con il quale condivide i temi “biomeccanici” e un breve frammento nella parte musicale [si tratta del pre-inciso di DiorDNA, qui molto rallentato e posto nella coda “elettro-sinfonica” del brano]. “We’ll never let you down” si svolge in una sala operatoria / laboratorio e parla di un uomo che si sottopone ad un operazione per diventare robot e superare le “debolezze” della nostra natura umana ma con un drammatico epilogo: l’annullamento di tutti i centri emozionali, quindi anche della possibilità di essere realmente felice. La cadenza sul pianoforte, gli effetti sulla voce e il binomio basso-batteria rimandano senz’altro ad una ballad “lennoniana”…eppure c’è il Minimoog, un Mellotron “disintegrato” nel finale, elettrocardiogrammi, una sezione percussiva 8-bit tipo Commodore64 che in questo caso potremmo ribattezzare “8-beatles”, comunque si tratta di un’elettronica molto sottile, insinuata in un contesto diverso dal solito: questa imprevedibilità è uno degli elementi che più mi hanno convinto a inserire WNLYD nell’album.

 

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Sappiamo tutti che un conto è vivere la musica come hobby e come propria passione e un conto è farne la propria professione come hai fatto tu. Cosa consigli ad un giovane musicista che volesse intraprendere un percorso come il tuo?

Esplorare le proprie capacità espressive, creare tanto, seguire con una sana abnegazione il proprio percorso, essere curiosi e con la mente sempre aperta…questo potrebbe andar bene, ma io preferisco citarti Manlio Sgalambro: non accettate MAI consigli!

Troverete tutti i riferimenti (link ad iTunes, al canale di Eugene su Youtube, a Twitter e a Facebook) se vorrete cliccare sull’immagine qui sotto…

FIGURA7

 

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Comments (5)

  • Efrem

    |

    Potebbe essere il nuovo Jena Michel Jarre? 😉

    Reply

  • frabb

    |

    a me piace la morte registrata in analogico, sentire le cose senz’anima che gridano quando un cutoff scende come una ghigliottina etc etc etc… ma poi ogni tanto mi sento jamiroquai e i goblin o decido di mandar su una roba come questa che non avevo MAI neppure sentito nominare e sai cosa? Questo eugenio mi piace un fraccco, c’ha i beat che cadono sempre quando devono cadere, un suono della Madonna (termine tecnico che sta a significare per la precisione “un suono della madonna”) e sì, troppi mutandoni che rendono lontano il traguardo ma anche tanta materia prima di ottima qualità che viene fuori nonostante la massiccia post-produzione (i sample dei Bluvertigo potevano essere scelti meglio ma va bene così). Che bel disco che ho trovato, grazie. Ciao.

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    • Enrico Cosimi

      |

      Eugene ha fatto, lo scorso sabato, un live set tutto da solo (in perfetto stile Howard Jones, fatte le debite differenze) all’inaugurazione di PlayMusicStore, qui a Roma e ha spettinato gli astanti…

      io, ovviamente, sono rimasto impassibile 😀

      Reply

  • frabb

    |

    c’è tantissimo dei bluvertigo, in particolar modo da metallo-non-metallo, non tanto per le scelte compositive quanto per le soluzioni di produzione: The Perfect Crash, con questo uso raffinato della compressione e dello stop che crea il groove mi ha ricordato tantissimo l’intro di “Oggi hai parlato troppo”, per esempio, con tanto di break’n-beat cuttati col filtro hp… insomma ci “leggo” quello stile di sound, che a me personalmente – all’epoca – era piaciuto un sacco.

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