Un ARP 2600 colorato di blu… – prima parte

Written by Enrico Cosimi on . Posted in Gear, Vintage

Due o tre anni addietro, era un altro periodo e c’era un’altra community online, ci è capitato di recuperare – nel laboratorio di Organ Studio – un Blue ARP 2600 in pieno restauro. Dopo anni di (duro e paziente) lavoro, lo strumento è stato riportato agli antichi splendori, pronto per essere venduto a qualche facoltoso collezionista che – con sprezzo del pericolo – potrà così aggiudicarsi uno dei 20 o 25 esemplari seminali dello storico strumento. Ma cosa ha di così speciale il 2600 blu?

Di Enrico Cosimi

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Il Blue Meanie (come lo si chiamava all’epoca della carta stampata) o Blue Marvin (come lo si chiama nell’epoca della rete) è stato il primo sintetizzatore semi modulare prodotto da Alan Robert Pearlman per contrastare i successi commerciali di Bob Moog, insidiando il mercato educational e portable senza dover ricorrere al mastodontico Model 2500.

Come è facile immaginare, i primi passi non furono del tutto privi di problemi: personaggi insospettabili dell’entourage ARP hanno dichiarato a più riprese che tanto la versione blu, quanto la successiva versione grigia prima del modello definitivo tolexato erano considerate virtualmente non riparabili e, come tali, a pain in the ass ogni volta che tornavano in ditta per l’inevitabile assistenza.

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A fronte di questo, l’apparecchio ha aperto la strada per il bellissimo modello tolexato nero e bianco, con il filtro clonato a Moog (e riconoscibile internamente per il rivestimento in rame) e, ancora dopo, il più discusso modello nero e arancione, con l’elettronica aperta. Che significa “elettronica aperta”? Ad un certo punto, nel pieno della lotta commerciale tra Moog e ARP, gli ingegneri di quest’ultima casa decisero di incapsulare i propri circuiti in veri e propri moduli di resina – delle dimensioni di poco superiori a quelle di un pacchetto di sigarette – per facilitare il montaggio in assistenza e per proteggere da spionaggio industriale le strutture interne. All’epoca, sembrava una buona idea; nei decenni successivi, si è dimostrata una svista colossale, fatta apposta per rendere complicata l’assistenza.

Di fatto, le strutture ARP (a fronte di una costruzione qualitativamente non allo stato dell’arte) sfruttavano fino in fondo le astuzie progettuali per garantire un comportamento termostatato  sugli oscillatori, offrendo quindi una minor deriva termica e una minor tendenza alla scordatura (cosa pressoché inevitabile con i vecchi oscillatori 901 Moog); per contro, il primo filtro ARP era fin troppo disinvoltamente ispirato alla struttura transistor ladder brevettata da R.A. Moog.

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Blue Meanie/Blue Marvin

Come i successivi modelli, anche la versione seminale insegue la divisione in due blocchi hardware separati: tastiera a quattro ottave, con regolazione di portamento, tracking e master tune, e sintetizzatore vero e proprio, con sistema di amplificazione e spring reverb stereofonico incorporati. Tutti e due i corpi sono inscatolati in contenitori di alluminio assai stilosi e sagomati secondo le classiche linee futuribili degli Anni 70; la lamiera delle superfici laterali è di colore grigio, quella dei pannelli comandi è in inconfondibile blu/celeste particolarmente luminoso; due lunghe maniglie di legno sagomato facilitano il trasporto di tastiera e main panel. A differenza dei sistemi successivi, i pesi non sono bilanciati.

Pannello principale e tastiera dialogano attraverso due multiconnettori Cinch Jones a sei lamine, che portano alimentazione, tensioni CV e Gate e impulsi di Trigger. Sul retro, il main unit ospita la connessione per il cavo di alimentazione in “formato Wurlitzer” (per intenderci, ricorda quello dei vecchi ferri da stiro…). Una volta fatte le tre connessioni tra i cabinet e con l’alimentazione, siamo pronti per partire.

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In soldoni

Il 2600 blu è più cattivo, cioè i suoi oscillatori escono ad un volume più elevato e portano più facilmente il mixer in ingresso al filtro alla distorsione; inoltre, anche il doppio regolatore di volume VCF/RING in ingresso al VCA è più sensibile alla distorsione… se il musicista (ovvero, il fortunato musicista che ha accesso a uno dei 20 strumenti costruiti) non sta attento con i livelli, finisce per trovarsi in mano una timbrica terribilmente satura, aggressiva, ma sicuramente lontana dallo standard sonoro femminile (così lo definiva Tom Coster) tipico dei monofonici ARP.

Anche i regolatori di modulazione hanno un comportamento differente dal 2600 standard: più estesi come ampiezza di controllo, devono essere gestiti con accuratezza per arrivare sul livello d’intervento desiderato.

Dal punto di vista della dotazione circuitale, il modello blu non ha il multiplo a quattro vie (allineato sul margine verticale sinistro del pannello standard), non ha il regolatore fine di Cutoff Frequency (allineato sotto al main Cutoff control) e permette – incredibile dictu – di raggiungere la frequenza dei tre oscillatori inviando una tensione CV… all’uscita Keyboard CV riportata sul pannello principale.  Per il resto, tutta l’esperienza fatta sui modelli successivi può tornare utile al (fortunato) possessore di questo apparecchio.

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Prossimamente, passeremo in rassegna la dotazione circuitale dell’apparecchio; per ora, fate compagnia a questi due video in cui si “spolvera” velocemente il contenuto dello strumento. 

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Buona visione.

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Comments (8)

  • Ciro Urselli

    |

    Bello ! Bellissimo ! Grazie di cuore ad Audio Central Magazine ed al Maestro Cosimi che ci deliziano con queste chicche. Perbacco come satura già’ di suo !
    PS: quanto quota +- sul mercato ?

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    • Enrico Cosimi

      |

      sono commosso…

      il 2600 blu cammina tra i 14.000 e i 15.000 euro (ce ne erano solo venti…)

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      • KRiSh

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        Macchina economicamente non avvicinabile, ma formidabile e rara come gli articoli italiani di sintesi analogica 😉

        Segnalo un progetto molto interessante in proposito…

        http://thehumancomparator.net/

        K

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        • Enrico Cosimi

          |

          ero al corrente del progetto di clonazione 2600 – tra l’altro, non è l’unico: diversi personaggi stanno muovendosi in quella direzione

          il problema, con il 2600 eventualmente clonato/da clonare è che occorre prendere delle decisioni a volte impopolari:
          a) nella macchina originale, i tre oscillatori “possono” fare tutti e tre le stesse cose, ma sono differenziati per dotazione di funzioni “di pannello” (dalle forme d’onda ai comportamenti di modulazione e generazione): che fare? mantenere gli stessi limiti o aggiornare il comportamento su standard più potenti e moderni?
          b) il filtro è solo un low pass “secco”: basta quello o si può preferire un multimodo?
          c) gli inviluppi sono molto “corti” rispetto agli standard attuali: anche in questo caso, intervenire o rispettare i limiti storico/filologici?
          d) l’amplificazione interna, che è veramente insufficiente, va rispettata o eliminata, magari guadagnando spazio di pannello per qualche comportamento addizionale? (non ultima, una coppia di connessioni 1/4″ di passo “standard” per l’uscita audio…)

          più in generale, conviene investire nella ricostruzione di un apparecchio storico sicuramente affascinante e meraviglioso, ma per molti versi ormai limitato rispetto al minimo sindacale (eh eh) che ci si potrebbe aspettare da un sint modulare/semimodulare moderno?

          (anche perchè, non è che oggi manchino strumenti che – con prezzo medio/alto come il 2600 – offrano GIA’ tutto quello di cui stiamo parlando)

          purtroppo, la questione è complessa… :-)

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          • K

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            Sono le stesse domande che probabilmente si è posta la Korg prima di fare il MS20 Mini: la risposta è MS 20 Mini. Suona quasi uguale, costa la metà, la gente lo acquista (o almeno così pare..). Nel caso di ARP 2600, visti i prezzi degli originali, suppongo che un kit già pronto sarebbe interessante per tanti, quando comunque a 800€ il kit da costruire è appetibile ma riservato solo a chi è in grado di costruirlo.. Links agli altri progetti degli altri personaggi sono i benvenuti ! Pongo però una domanda: qual’era quella “community online” che c’era una volta ? 😀

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          • Enrico Cosimi

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            come direbbe Adso da Melk: è pio e giusto tacere il nome della community…

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  • Filippo Nunziale

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    siii! finalmente qualcosa in più su questa macchina leggendaria per noi neofiti! Grazie Enrico 😀

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  • Attilio De Simone

    |

    Secondo me, in questo momento storico una clonazione non ha tanto senso. E’ giusto riprendere alcune soluzioni che sono tipiche dei prodotti ARP, ma fare il clone al 100% rischia di non soddisfare le esigenze del musicista moderno, che ha bisogno di interfacciarsi con i computer, col midi, con altre apparecchiature, di fare il tutto rapidamente e di mettersi immediatamente a tempo. La strada più interessante mi sembra quella percorsa da DSI, che tira fuori synth dal suono “fumante” ma non rifà paro paro il Prophet V. In questo momento le alternative sonore non mancano, digitale, new analog, virtual analog, computer, cloni virtuali. Onestamente se voglio il sound di un ARP preferisco usare un clone virtuale, ma se devo avere un analogico, mi vado a cercare un synth di nuova generazione, che abbia le caratteristiche che cerco. Tutto ciò a meno che non ti caccino fuori un clone dell’arp in questione per 500 €, e a quel punto uno il pensierino potrebbe pure farcelo, ma penso che, viste le dimensioni, il prezzo non potrà mai essere troppo economico.

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