Riaccendiamo il Moog Modular System 55…

Written by Enrico Cosimi on . Posted in Gear

Diciamo la verità: questo articolo confina pericolosamente con lo spam o, se si preferisce, con l’auto promozione; ma l’argomento è – per certi versi – talmente sfizioso che vale la pena di correre il rischio. La cornice è, come da diversi anni, sempre quella: il Conservatorio di Musica Santa Cecilia in Roma – uno dei più antichi d’Italia (se non il più antico…), uno di quelli che, negli Anni 70 ha avuto la sagacia di acquisire strumentazione (per l’epoca) allo stato dell’arte, che oggi brilla di luce propria nello scialbo panorama internazionale.

Di Enrico Cosimi

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Identificata la cornice, giungiamo al soggetto: il venerando Moog Modular System 55, acquisito dal Conservatorio nel lontano 1974, su richiesta di Franco Evangelisti (pioniere della Musica Elettronica – e non solo, alfiere del Gruppo d’Improvvisazione Nuova Consonanza, figura fondamentale per il ruolo di catalizzatore svolto all’epoca). Lo strumento, usato con parsimonia, rispetto e competenza dai docenti di Musica Elettronica che si sono alternati in Cattedra (basterebbe citare Walter Branchi, Riccardo Bianchini, Giorgio Nottoli), è da tempo oggetto didattico sul quale viene incentrata la serie di lezioni relative ai… sintetizzatori virtuali indegnamente tenute dal vostro E.C.

Per questo motivo, in preparazione dell’apertura di “ostilità” che coincide con il ciclo di 10 lezioni, con partenza nel primo trimestre dell’anno venturo, c’è la rituale rimessa a punto dell’apparecchio che – quest’anno – ha coinciso con il suo spostamento in un’aula dedicata alla “didattica analogica”. E non solo.

Gli obiettivi erano molteplici:

  • controllare, in maniera blanda, ma puntuale, il funzionamento di tutti i moduli presenti nel System 55 (lo ricordiamo, è la configurazione più matura e completa tra le tre 15, 35 e 55, in catalogo negli Anni 70 inoltrati);
  • configurare il sistema di ascolto per l’apparecchio;
  • verificare stato di accessibilità e reperibilità per gli indispensabili patch cord – compresi i vituperati connettori Chinch-Jones che tanti lutti addussero ai sintetisti.

Le operazioni non sono state facilissime, ma – come al solito – ne è valsa la pena.

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Lo stato dello strumento

Come accennavamo in apertura, il System 55 di Santa Cecilia ha visto la luce nel 1975, come configurazione standard (sei oscillatori 921B, con due controller 921A – ambedue i modelli, di nuova generazione e ben più potenti dei precenti 901 A e B; un 921 full range oscillator; una coppia di filtri low/high pass, più fixed filter, cinque amplificatori e cinque inviluppi, tre mixer/smistatori, uno step sequencer, un sequential switch, una sequencer interface e altri moduli ben scelti) e come tale è stato acquisito – leggende metropolitane relative alla speciale configurazione concepita per i suoi usi didattici devono essere rifiutate in blocco: il System 55 qui presente è un System 55 uguale a tutti gli altri suoi fratelli “di catalogo”: niente Sample & Hold, niente moduli aggiuntivi, niente a sostituire il triste blank panel nel cabinet superiore.

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L’apparecchio è corredato della sua tastiera a cinque ottave – low note priority, monofonica – con Range e Scale liberamente regolabili dal musicista; in aggiunta, nell’elettronica di tastiera, è presente l’integratore/Slew Limiter utilizzato per generare il Portamento (Moog lo chiama “Gllde” per complicare le cose…).  Tastiera e cabinet inferiore dialogano attraverso un multiconnettore Amphenol che, da solo, per robustezza, peso e design, è destinato a suscitare l’ammirazione dei visitatori; non è esagerato affermare che sarebbe possibile ancorarci l’Andrea Doria senza rischiare di vederla andare alla deriva.

A margine, chi scrive ricorda come, ancora all’epoca di Riccardo Bianchini, fosse presente un Ribbon Controller che, oggi, risulta misteriosamente irreperibile. Misteri insondabili della sovrapposizione dei secoli…

Nel corso dei 40 anni di vita, l’apparecchio ha perso qualche dischetto in alluminio dalle manopole Cosmo Corporation che coprono i potenziometri sigillati usati per la sua costruzione; due delle manopole originali sono state sostituite – in epoche non accertate – con banali manopole a serraggio progressivo che sono state nuovamente ripristinate con nuove Cosmo Corp in stile puntatore.

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Dal punto di vista elettronico, la complessa struttura di normalizzazione CV 1 (Key), CV 2 (Ribbon), CV 3 (assignable e CV 4 (assignable bipolar/sequencer) è ancora operativa, fatta salva la fisiologica presenza di ossidazione che – spesso – rende instabile la tenuta dell’accordatura. A sistema perfettamente tarato, il musicista può inviare agli Oscillator Driver (ciascuno di essi controlla tre oscillatori veri e propri), al full range oscillator e al low pass filter, il voltaggio di tastiera, del ribbon, del sequencer – se presente – di una seconda tastiera – se presente. Il tutto, at a flick of a switch, senza sprecare cavi e con il feeedback visivo dato dall’accensione/conferma degli interruttori “di transito”.

La stessa organizzazione è adottata per smistare i Gate (Moog li chiama Switch Trigger) generati da tastiera e/o dagli altri controller, alla volta dei tre inviluppi “principali”. Sempre loro sono “nornalizzati” ai tre amplificatori principali. In questo modo, con pochi tocchi sugli interruttori retro illuminati, gli oscillatori ricevono l’intonazione, gli inviluppi articolano in base al gate ricevuto, gli amplificatori aprono in base all’inviluppo ricevuto. Non rimane che collegare fisicamente il percorso audio osc-mixer-filter-amp ed il gioco è fatto. Il risparmio nel numero dei cavi necessari (anche nei confronti dei più piccoli modelli 15 e 35) è notevole.

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Gli altri due inviluppi e amplificatori liberi da normalizzazione rimangono disponibili per altri compiti; è ruolo del musicista predisporre cavi adeguati per portare, dalla tastiera o dalle altre sorgenti, le tensioni di controllo ritenute necessarie.

Un discorso a parte merita il prestigioso Sequential Controller 960, il sequencer 8×3 sviluppato autonomamente in casa Moog: il suo comportamento è predisposto per l’interfacciamento diretto con le macchine “normali” dotate di Gate… per questo motivo, con il modulo 961 Sequencer Interface, Moog provvede alla fornitura di un’interfaccia Moog su Moog, convertendo il Gate emesso dal sequencer in Switch Trigger richiesto dagli inviluppi 911.

Allo stesso modo, la presenza di 12 connettori OR (sei dotati di risagomatore di impulso) permette la creazione di pause e brecce nella programmazione ritmica della sequenza; la lunghezza della sequenza, infine, può essere elongata a 24 eventi utilizzando il modulo 962 Sequential Switch, con il quale aprire ritmicamente la fila A (eventi 1-8), poi la fila B (eventi 9-16), poi la fila C (eventi 17-24).

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Il sistema di amplificazione

Giacciono nel Conservatorio, avanzi di un’epoca analogicamente imponente, quattro grossi monitor Tannoy Arden con trasduttore coassiale da 15”, vere armi di distruzione di massa, erano state configurate per fornire un ascolto dual stereo in grado di permettere le traiettorie di “panpot diagonale” previa disposizione agli angoli della stanza e collegamento invertito LR-RL.

Oggi, si è deciso di utilizzarne una singola coppia, sotto la generosa gestione di un finale/pre Pioneer SA-9900 in grado di erogare potenza succosa assaje… (110 + 110 watt con risposta in frequenza 10 Hz – 80 kHz).

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It’s alive!!!

Dopo aver collegato il tradizionale doppino rosso e nero, regolarmente stagnato sulle terminazioni, per sbaglio, è partito un Do basso con l’oscilatore 921: boooooonnnnng!!!

L’intero terzo piano del Conservatorio è venuto velocemente a sapere quello che stava succedendo. :-)

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Ora, dopo i rituali allineamenti di Range e Scale, dopo aver ripulito pannello e contatti, il glorioso Moog Music System 55 è pronto a scintillare durante le prossime lezioni di Sintetizzatori Virtuali, indegnamente tenute dal vostro affezionato E.C. per dieci, densi, appuntamenti da tre ore.

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Sarà  (analogicamente) meraviglioso…

 

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Comments (9)

  • Michele Dall'Ara

    |

    Gentile Maestro,

    mi sono sempre chiesto in effetti se esistessero dei corsi per sintesisti in erba. Io, che più che spippolatore non mi reputo, vedo un corso come quello da Lei tenuto come una meta alla quale agognare: è aperto a chiunque desideri iscriversi? Che costi ha? Chiedo scusa se ho fatto delle domande inopportune o fuori luogo : voglia indirizzarmi, in tal caso, verso le sedi più opportune.

    Un cordiale saluto colmo di stima.

    Michele Dall’Ara

    Reply

    • Enrico Cosimi

      |

      carissimo Michele,
      mi scuso per il ritardo nella risposta; il corso cui faccio riferimento è quello tenuto presso il Conservatorio di S.Cecilia in Roma, insegnamento di “Sintetizzatori Virtuali” (ma lavoriamo con e attorno al Moog Modular 55), nel triennio di Musica Applicata, coordinato dal Maestro Maurizio Gabrieli.

      Premesso che, per costituzione, sono negato in tutto quello che riguarda attività burocratiche o amministrative, sono certo che il corso è aperto anche agli esterni al Conservatorio, che pagano una quota d’iscrizione al Corso e grazie ad un determinato Articolo (forse, il 37 o il 41, boh…) frequentano e a fine corso ricevono una serie di crediti esigibili al momento del diploma in Composizione Applicata. (non male, niente affatto male). Per questo e per altri dubbi, conviene contattare direttamente il sitoweb del Conservatorio, o su Facebook, Maurizio Gabrieli – facilmente raggiungibile tra i miei amici.
      A presto!
      enr

      Reply

  • Francesco

    |

    Beh che dire. Innanzitutto grazie e poi…che meraviglia!

    Reply

  • Maurizio Fiori

    |

    Rischiando di andare un po’ OT, leggevo di questa nuova tecnologia che dovrebbe portare tecniche di stampa a livello di nanometri su tutte, o quasi, le scrivanie nel giro di pochi anni…sarà una possibilità di riportare in vita in piccoli quantitativi integrati analogici storici ormai introvabili?

    http://www.eurekalert.org/pub_releases/2013-07/nu-dpa071713.php

    Reply

  • Maurizio

    |

    Maestro, innanzitutto grazie dell’articolo, che ha fatto (ri)accendere in me la voglia System55.
    Ho cercato tanto, ma quel che poco che c’è (originale d’epoca) ha prezzi fuorvianti (il meglio che trovai fu un 35 non perfettamente funzionante, a circa 25000 euro).
    Ho desistito.
    Ma quando il tarlo è partito, é partito.
    C’è una marca (anche se è davvero migliorata incredibilmente, non la nomino per evitare grasse risate di chi non ha seguito e creduto che ce la potessero fare) che riproduce (quasi) tutti i componenti…. ad un prezzo accettabile (dai 60 ai 150 circa a componente)
    Ora, dato che per evitare che il tarlo di cui sopra mi mangi vicino, mi permetto (il lusso) di porle 2 questioni:

    La prima:
    Per l’uso non dovrei avere grossi problemi (utilizzo la versione VST.da un bel po), dovrò solo prendere la mano che da uno schermo da 23″ passo ad una parete di spippolini ()… Il problema, grande, ce l’ho lato elettrico/alimentazione.
    Saprebbe indicarmi dove trovare un qalcosa che spieghi come si connettono le alimentazioni, quanti alimentatori servono…
    La seconda: i segnali in uscita,: se il bisonte si usasse solo ed esclusivamente interfacciato alla DAW, bastano i i pre amplificatori dell’interfaccia audio in ingresso, o sarebbe meglio far passare il segnale da un pre di tipo termoionico così da avere, “naturalmente ” la compressione della dinamica tipica della valvola?
    Infinite grazie Maestro.

    Reply

    • Enrico Cosimi

      |

      caro Maurizio,
      in generale, la quantità necessaria di alimentatori è dettata dall’assorbimento che ciascun modulo impone alla struttura; nel formato EuroRack, ad esempio, un alimentatore standard eroga +12V, -12V e +5V disponendo circa di 1.6A sul +12 e sul -12; ciascun modulo installato nel cabinet “ruba” qualcosa a quella disponibilità rendendo progressivamente più a rischio la tenuta del sistema – in linea di massima, conviene sempre tenere una percentuale libera sui rispettivi carichi per evitare stress agli alimentatori…

      Facendo bene i conti, modulo per modulo, è quindi possibile capire quanti alimentatori incorporare nei cabinet e come distribuire i moduli in modo da non sbilanciare l’insieme.

      Non penso ci sia bisogno di preamplificatori valvolari o altre raffinatezze da audiofilo che, come per le auto d’epoca, finiscono per divenire preponderanti rispetto alla filosofia finale del progetto (muoversi in automobile o ascoltare lo strumento)…

      Reply

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