Retrospettive. Alesis Andromeda A6: un capolavoro analogico

Written by Enrico Cosimi on . Posted in Gear, Vintage

Quando, nel 2000, Alesis commercializzò il potente polysinth analogico Andromeda A6, probabilmente non sapeva di scrivere una pagina significativa nel panorama dei polifonici analogici. L’apparecchio, dopo un’iniziale diffidenza dovuta all’elevato prezzo richiesto e al marchio che, nell’immaginario collettivo dell’epoca, incarnava un concetto commerciale di strumento elettronico passava attraverso una fase di relativo oblio per poi tornare, in epoche più recenti, a essere ricercato e desiderato sui vari mercatini second hand. Oggi, è possibile affermare, A6 Andromeda è una delle pietre miliari della programmazione poly analog di alto livello.

Di Enrico Cosimi

Inutile dire che, affrontare – per quanto in restrospettiva – una macchina complessa e completa come Andromeda richiederebbe pagine e pagine e pagine di sproloquio che, in questa sede, non è sano preventivare; tuttavia, nei limiti dello spazio a nostra disposizione, faremo del nostro meglio per mettere in luce i punti significati dello strumento invitandovi (se ancora possibile) a dare la caccia all’apparecchio per farne un ascolto di prova, in cuffia o meno…

I presupposti storici

Alesis Andromeda A6 vede la luce attorno al 2000/2001, concepito e messo su strada dallo stesso gruppo di lavoro (Daniel Sofer, Dave Bertovic, Mike Papa, eccetera) che aveva precedentemente concepito e messo su strada (nel lontano 1984) i due classici Oberheim Xpander e Oberheim Matrix 12: anche se, per certi versi, le strutture sono differenti, è comunque possibile trovare punti in comune. Dove, nelle vecchie implementazioni Oberheim, si erano adottati gli integrati CEM (e neppure dei migliori), si compie il notevole sforzo di progettare e realizzare due nuovi ASIC Alesis per realizzare, in full analog glory, l’oscillatore (ASO) e il filtro (ASF). Come nell’Xpander/M12, anche in Andromeda (a proposito: A6 è la traslitterazione di “asic”…), le generazioni di controllo sono ottenute per via digitale: con un vecchio processore 386 – se la memoria non falla… – in Oberheim, con un nuovo Freescale Semiconductors Coldifire.

Ma cosa era contenuto in ogni voce dei vecchi Xpander/M12? Presto (si fa per dire) detto: più o meno, due oscillatori tri wave (triange, saw, pulse) più noise, con possibilità di linear FM; un unico filtro CEM spremuto fino a ottenere 15 diversi modi di funzionamento con FM lineare, cinque inviluppi DADSR, cinque LFO multiwave sincronizzabili, tre ramp generator, quattro tracking generator. In aggiunta, le 6 o 12 voci disponibili erano organizzabili in 3 o 6 zone di tastiera configurabili come precise entità di estensione “orizzontale” o come blocchi di trasmissione/ricezione MIDI, con tanto di volume, detune, transpose, panpot, patch select specificabile voce per voce. 

 

Quindici filtri diversi? Ma a che serve tutta questa roba?

La domanda è/era più che legittima: occorre non perdere mai di vista la filosofia costruttiva di queste macchine che, lavorando in sintesi sottrattiva, impostano molta della loro funzionalità sulla disponibilità di sorgenti sonore variegate (le diverse forme d’onda generate dagli oscillatori) e sulla possibilità di filtrare in maniera diversificata i segnali di cui sopra… per questo motivo, 15 tipi di filtraggio garantiscono altrettante colorazioni timbriche con cui diversificare le proprie programmazioni.

I modi disponibili erano: low pass a 1, 2, 3, 4 poli; high pass a 1, 2, 3 poli; band pass a 2, 4 poli; notch a 2 poli; phase shift a 3 poli; high pass a 2 poli + 1 low pass 1 polo in parallelo; high pass a 3 poli + low pass 1 polo in parallelo; notch a 2 poli + low pass a 1 polo in parallelo; phase shift a 3 poli + low pass a 1 polo in parallelo.

Come vedremo, nell’Alesis A6 Andromeda, le cose sono per certi versi semplificate, ma per altri versi altrettanto flessibili.

Perchè Andromeda è Andromeda

E’ interessante ripercorrere le decisioni seguite in sede di progettazione: Alesis A6 Andromeda è stato concepito – e realizzato – dopo aver svolto una serie di ricerche sonore su diverse apparecchiature analogiche dell’epoca; in questo modo, il gruppo di lavoro si concentrò su dei precisi modelli di riferimento: gli oscillatori Moog 921 A e B per le capacità di sintesi e di trattamento delle forme d’onda, il filtro Moog Transistor Ladder e il filtro Oberheim State Variable per il trattamento dei segnali. Presi in considerazione, ma successivamente scartati per semplice appeal commerciale, furono anche il filtro del Roland Jupiter 8 e della serie SH.

Il nome del neonato strumento Alesis venne scelto per dare una botta all’organizzazione “astronomica” di ben noti fabbricanti nipponici e, in corso d’opera, fu affiancato alla sigla A6 che indicava la presenza dei due ASIC ASO e ASF sviluppati da Alesis per il filtro e gli oscillatori analogici. Lo strumento rimase in produzione per circa un decennio (2001-2010) e venne commercializzato in poche migliaia di esemplari – un numero di pezzi basso, per le logiche commerciali di un grosso marchio come Alesis; oltre al normale pannello di colore grigio/blu, vennero realizzati un centinaio scarso di esemplari con colorazione alternativa grigio/rossa.

Il layout del pannello comandi, organizzato per isole di controlli localizzati in base alla funzione svolta, venne commissionato a Axel Hartmann, ben noto synth designere on hire, che nel corso degli anni ha firmato parecchie soluzioni stilistiche memorabili.

Partiamo dai difetti

Come tutte le macchine complesse, Alesis A6 Andromeda non è privo di difetti, alcuni sono macroscopici, altri sono figli del suo tempo, altri sono conseguenze inevitabili di un fatto semplice nella sua tragicità: la revisione soft attualmente disponibile non è quella definitiva; come dire che lo strumento è finito per sommi capi, ma ha (anzi, avrebbe) ancora molti lati perfettibili. Peccato che Alesis, ormai da anni abbia dismesso il think tank dietro al progetto e che ogni idea di miglioramento sia destinata a rimanere lettera morta…

 

La visualizzazione dei parametri

L’architettura di A6 è strutturata sul doppio binario dei parametri di pannello, per i parametri fisicamente inevitabili, e della loro impaginazione su display, per i parametri ad accesso meno immediato; quasi ogni modulo ha il proprio tasto view con cui sintonizzare il display e il musicista può fare ping-pong tra la ampia superficie tattile dei controlli e la molto più scivolosa superfice del display.

Ma, nel display (che, per motivi anagrafici è un vecchio 64 punti di altezza, i parametri sono stati impaginati – anzi, sono stati forzati – per rispettare le otto colonne verticali dei data entry sottostanti, piegando la logica di accesso all’organizzazione in tab/page e parametri di pagina. Fintanto che i parametri sono di tipo squisitamente numerico, non ci sono problemi (a parte l’altezza ridotta delle font scelte: cinque punti in alcuni casi…), ma le cose diventano molto più complesse da gestire quando alla variazione numerica deve corrispondere anche un cambio di tipo grafico. La curva d’inviluppo è l’esempio più calzante: un segmento di Sustain può variare solo in maniera “verticale”, alzando o abbassando la riga orizzontale che ne riproduce l’andamento; ma un tempo di Attack può variare per angolo, quindi per velocità, quindi ancora per lunghezza grafica… In una normale schermata software, la contrazione o la dilatazione dell’Attack si porterebbero appresso l’intero drawing dell’ìnviluppo; dentro A6, il valore di Attack cambia numericamente, ma la curva rimane graficamente identica, ovvero non riproduce le eventuali contrazioni temporali per non disallineare gli stadi successivi dai parametri sottostanti. A questo punto, il musicista non capisce più nulla…

La quantità dei parametri

A6 non è semplice come il Juno 60 (absit iniuria verbis): praticamente ogni sua sezione è stata arricchita/sviluppata/appesantita al limite dell’umane competenze per tirar fuori tutto ciò che è possibile desiderare da un analogico polifonico che non sia semplicemente di taglio commerciale. Purtroppo, questo significa – per il musicista – dover imparare un mare di roba e dover fare i conti con un manuale operativo lungo quasi 300 pagine; nulla di fronte alle migliaia di pagine del KORG KRONOS, ma sempre una quantità impressionante vista la natura analogica dell’apparecchio.

All’atto pratico, e torniamo all’inviluppo che – per un certo punto di vista – è il picco di complessita di A6, si è reso necessario spalmare i parametri dividendoli in una pagina di tempi e una di livelli: in questo modo, a fronte di due decay e due release, con possibilità di loop e triggering molto differenziati, e con possibilità di funzionamento multimodo, il povero utente è sballottato da una parte all’altra dello strumento senza avere quasi mai la certezza di essere lui a suonare A6 e non viceversa…

Ma lo stesso discorso potrebbe essere fatto per le matrici di modulazione, ovvero per le possibilità di accoppiare sorgenti di controllo a destinazioni di controllo: 74 possibili sorgenti sono selezionabili attraverso un controllo rotativo molto sensibile o attraverso increase/decrease con tastini dedicati; dopo di che, è necessario assegnare un offset di modulazione, un range d’intervento, accendere la modulazione e definire la destinazione, ancora una volta con un controllo rotativo molto sensibile.

 

Display lock

Altro grosso problema: ogni volta che si tocca/ruota/sfiora un qualsiasi controllo sul pannello, il display si sintonizza automaticamente sul blocco di parametri ad esso attinente, magari saltando via nel bel mezzo di una regolazione importante; per evitare questo, è possibile bloccare, mettere in lock, il display stesso, ma l’insidia rimane, specie durante le fasi più complesse di regolazione.

Incredibilmente, la notevole densità dei valori parametrici (in molti casi, con due decimali dopo la virgola) e l’incompleta implementazione degli algoritmi di accelerazione sui controlli rotativi rendono quasi impossibile atterrare sul valore giusto al primo colpo; se poi a questo si aggiunge che – come nella vecchia versione 3 di Automap – basta sfiorare un controllo di pannello  per far saltare la sintonizzazione del display, ecco che le cose iniziano a farsi drammatiche.

 

Il MIDI Clock

C’è o non c’è? Come sempre nel mondo analogico, una cosa è sul manuale, altra cosa è nella realtà dello strumento: A6 è particolarmente riottosa a tirare fuori il MIDI Clock con cui mandare a tempo apparecchiature esterne e, avendo al proprio interno un arpeggiatore e uno step sequencer di programma, la cosa diventa molto irritante, a meno di non mettere tutte le apparecchiature sotto controllo di un generatore di clock indipendente. Eppure, sul manuale…

La tenuta dell’accordatura

Un analogico è un analogico è un analogico, su questo non ci piove. I sedici oscillatori di Andromeda sono realizzati con una manciata di integrati custom ASO, appositamente sviluppati, che offrono la generazione simultanea di sinusoide, triangolare, rampa/dente di sega, quadra e impulsiva a simmetria variabile; da questi segnali, sono poi desunti la suboscillazione all’ottava inferiore e i percorsi privilegiati per sinusoide e ring mod non filtrati. Come tutte le macchine analogiche che si rispettino, anche Andromeda deve essere accesa almeno 30 minuti prima di iniziare a lavorare seriamente, altrimenti gli oscillatori continuano a vagolare in deriva termica fino alla completa stabilizzazione; in maniera simile al vecchi Matrix 12, è possibile evocare una complessa procedura automatica di accordatura che si prende cura delle frequenze degli oscillatori, delle frequenze dei filtri, della quantità di resonance, della simmetria delle onde quadre e dell’ampiezza degli amplificatori; una volta effettuata la procedura, l’autotune può continuare a intervenire in background negli interstizi dell’esecuzione musicale.

Ciò non toglie che, specie se abituati alla precisione del controllo numerico, il primo impatto con Andromeda possa essere devastante per l’imprevedibilità iniziale delle accordature: non è raro imbattersi in una o due voci che rifiutano apparentemente di seguire il tracking di tastiera e mandano a pallino qualsiasi tipo di accordo. Tornata la calma, e innescata la procedura di accordatura, tutto rientra nei canoni della normalità.

 

Perchè dare la caccia a Andromeda

Oggi, Alesis A6 Andromeda non è più in produzione e, passato un periodo di relativa oscurità in cui la sua valutazione era scesa attorno ai 1000/1400 euro, si è tornati a valutazioni più impegnative (nell’ordine dei 2000/2500 euro) che, esagerazioni a parte, possono essere in linea con il valore funzionale dell’apparecchio.

Ma, nostalgia a parte, perchè mettersi in casa un mastodonte del genere?

Funzioni di sintesi

Il percorso di sintesi è molto complesso e ricco di caratteristiche normalmente non disponibili in apparecchiature più commerciali; non staremo qui a sintetizzare trecento pagine di manuale (che, tra l’altro, sono liberamente disponibili in pdf sul sito web Alesis), ma è necessario puntualizzare che, oltre al normale comportamento vco-vcf-vca, Andromeda offre un complesso meccanismo di mixing pre filter e mixing post filter, che permette di spremere tutto il succo dei due oscillatori, dei due sub, del noise, del ring e dell’eventuale segnale di feedback post filtering. Questi segnali (ma c’è anche la possibilità di filtrare segnali esterni mono e stereo) viaggiano verso i due filtri presenti: lo stato variable 12 dB/Oct e il low pass filter 24 dB/Oct; semplicemente ruotando i controlli nel mixer post filter, si può isolare l’ascolto del low pass 12, high pass 12, band pass 12 (la somma dei due precedenti), notch 6 (la parallelizzazione dei due), low pass 24… quasi tutto in maniera simultanea. Non si può ruotare una sorgente su una diversa destinazione di filtraggio, ma per il resto, la flessibilità è spaventosa.

 

Funzioni di controllo

… e qui ci si perde: oltre ai tre (complessi) generatori di inviluppo multistadio e con loop selezionabile, ci sono gli oscillatori a bassa frequenza, il tracking generator e il sample & hold; tutti questi controlli sono – in diversi livelli – raggiungibili da altre modulazioni che ne possono alterare anche drasticamente il funzionamento. Ma il meglio deve ancora venire: ogni patch program ha diritto al proprio step sequencer 16 x 3 con cui controllare, banalmente, intonazione, filtraggio, articolazione e nota on/off. La sequenza può essere monofonica, può impegnare parallelamente tutte le voci di polifonia richieste dal musicista, può convivere (nei limiti delle 16 voci disponibili) con l’esecuzione di accordi sulla tastiera, può essere subordinata al MIDI clock ricevuto dall’esterno – stendiamo un pietoso velo sulle misteriose possibilità di sincronizzazione come master unit…

In aggiunta, sequencer e arpeggiatore possono convivere, arpeggiando la sequenza o incastrando le intonazioni ai danni delle voci disponibili. Basta costruire l’inviluppo giusto e il gioco è fatto: instant Tangerine Dream!

 

Effetti

Alesis non ha certo dovuto fare fatica quando si è trattato di schiaffare un Wedge all’interno di Andromeda: oltre agli algoritmi digitali di reverb, chorus, delay, eccetera, è possibile sfruttare una sezione di distorsione analogica più delicata di quanto ci si aspetterebbe; in tutti i casi, se il purismo talebano è dominante, si può disinserire il tutto e lavorare – anche con le uscite separate – usando l’apparecchio con processori esterni.

Un tentativo di conclusione

Come al solito, quando si parla di apparecchi analogici, per di più vintage, la razionalità vale poco: o si ama incondizionatamente – e si accettano tutti gli svantaggi possibili e immaginabili – o si rinuncia in blocco e si passa alle sicurezze del digitale. In ogni caso, Andromeda era/è una macchina in cui è possibile perdersi: il sogno del programmatore, ma anche la sua maledizione, visti i limiti di controllo imposti dalla brutta impaginazione dei parametri e l’oggettivo stato di non finito del progetto.

Certo che, se ne capitasse un esemplare a un prezzo contenuto…

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Comments (17)

  • fabri

    |

    Alla faccia del bicarbonato di sodio! 😉

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  • synthy

    |

    e non solo il bicarbonato, quando ti fa inkazzare, si si colla K, e perdi la pazienza rioschi di annegare…
    però che belle soddisfazioni, vero Enrico?

    Reply

  • Daniele

    |

    Ciao Enrico, ne ho uno sotto tiro (non a prezzo sotto quotazione di mercato). Non sono un grosso smanettone ma sono amante del sound analogico caldo e pieno. Arrivo da un Jp8, un mks 80, un jp4, ed infine un jx10 (questi tutti dati via ahimè in passato). Mi rimane (di synth analogico) un model D, sotto il quale vorrei piazzare un polifonico. Anche di stampo più moderno. Per questo inizialmente Mi ero innamorato del Prophet 12. Poi mi sono lasciato demotivare dalla storia sul suo cuore mezzo digitale e dal suo sound un po’ troppo aspro per i miei gusti, e quindi sono caduto nella trappola Andromeda. Dopo la lettura di questo articolo ho parecchi dubbi… specialmente con l’idea di prendere qualcosa di non finito! Torno sul 12? so bene che sono due macchine che non c’entrano nulla l’una con l’altra, ma visto che voglio un polifonico caz*uto sono aperto a farmene piacere una delle due!

    Reply

    • Enrico Cosimi

      |

      ci sono alcune considerazioni da non dimenticare, prima di fare una scelta (comunque) impegnativa dal punto di vista economico:

      a) Andromeda NON è uno strumento facile da programmare: per l’impaginazione dei parametri sul display, per l’età del progetto e per l’oggettiva profondità operativa che è stata trasferita (ad esempio) negli inviluppi e in altri punti chiave del percorso;
      b) il fatto che non sia terminata (e non lo sarà mai, a meno che non compaia un Forat di turno…) non è troppo grave; quasi tutte le macchine di Dave Smith sono lanciate sul mercato con software non definitivo, revisioni ancora da venire e funzioni solo annunciate; è uno standard – non troppo piacevole – degli strumenti musicali elettronici che ha preso piede alla fine degli Anni 80 (all’epoca, si parlava di vaporware…); se ci pensi, anche l’Emulator II è arrivato alla 3.1 definitiva dopo quasi cinque anni dalla commercializzazione; la Tempest inizia ora a essere completata e così tante altre apparecchiature di diversa fascia e taglio
      c) è chiaro che, alla fine, si decide con orecchie e cuore (oltre che con il portafoglio); quindi se il suono del P12 ti sembra troppo aspro, forse non è lo strumento adatto a te

      io direi, comunque, di entrare in possesso dell’Andromeda – specie se è ad un prezzo non esagerato; ci fai qualche mese di pratica sopra e se, come penso, alla fine te ne innamori, continui ad usarla e a tenerla; se invece ti rendi conto che è inadatta, la vendi sicuramente con maggior facilità di quanto non venderesti uno strumento “meno storico” e meno ricercato

      😉

      Reply

      • Daniele

        |

        Grazie della risposta. Ho notato su vari forum che si parla di voci che non rispondono, di irreperibilità dei ricambi. Addirittura una persona la paragonava ad una bomba a orologeria! Che tu sapiia, rimane una macchina “riparabile”? Il venditore afferma di averla presa nel 2008. Ho letto anche di una partita fallata, ma cronologicamente non l’hanno collocata. Pro e contro di internet…

        Reply

  • Daniele

    |

    In sostanza mi hanno fatto imparanoiare…

    Reply

  • Enrico Cosimi

    |

    QUALUNQUE macchina analogica che usi al suo interno integrati custom o non più reperibili è potenzialmente NON riparabile: è il problema che c’è con i polifonici prophet, memory jupiter, ob-x, eccetera.

    Andromeda usa due integrati ASO e ASF sviluppati per fare oscillatori e filtri; quando ho venduto la mia, estate 2013, mi ero informato sulla loro reperibilità e mi era stato detto dall’assistenza nazionale “quanti ne vuoi? basta che te li porti via…” (testualmente); quindi, non penso ci siano dei problemi…

    questa storia della partita di componenti fallati l’ho sentita anche io, ma mi sembra tanto una leggenda metropolitana; in realtà, Andromeda è meno facile di quanto sembri e può dare spesso l’impressione di non funzionare regolarmente, specie quando si “cade” dentro gli inviluppi; se a questo aggiungi che molte persone hanno letteralmente dimenticato cosa possa significare avere a che fare con 8, 12 o 16 voci polifoniche analogiche che vanno dove vogliono loro, ecco che il mito dell’ingovernabilità diventa reale

    un poco come il mito di certe macchine che, solo per sentito dire (visto che nessuno ci ha mai potuto mettere sopra le mani) diventano “fenomenali” solo per sentito dire 😉

    se può consolarti, calcola che è MOLTO più difficile riparare una macchina moderna in tecnologia SMD che non una vecchia apparecchiatura analogica; ovvio che quando i vari CEM, SSM, ASO e ASF, IC35 e compagnia bella non saranno più disponibili, TANTE macchine analogiche (compresa Andromeda) si fermeranno per sempre…

    se non te la senti, puoi sempre ricorrere al virual analog: ormai, macchine come Virus, Novation, Clavia, Roland, Korg suonano come e meglio degli analogici antichi…

    😉

    Reply

  • Daniele

    |

    Chiarissimo. Sui virtual analog non mi sento de spederci quattrini. Lavoro con software quali U-he Diva, Ace e compagnia bella che mi danno grosse soddisfazioni e poche grane (con il comouter che ho preso per pilotare tutto a dovere ci prendevo anche l’Andromeda). Con una Duet dal vivo diciamo che mi sento “parato” senza ricorrere ad interfacce utente da 2k. poi il maestro sei tu, correggimi se sbaglio!

    Reply

  • sergio

    |

    Egregio dott. Cosimi, comprai l’Andromeda nel 2001 credo e purtroppo dopo un paio di anni l’ho venduta (mi sto ancora prendendo a schiaffi).
    L’ho venduta in quanto non avevo né il tempo e né le conoscenze per programmarla a dovere.
    Ora ,avendo più tempo e soprattutto più esperienza e conoscenza sulla sintesi sonora, vorrei ricomprarla (amo il suo suono e la sua profondità dal punto di vista della programmazione ).
    Ma è tutt’ora una macchina riparabile? Ci sono centri di assistenza in Italia eventualmente?
    Altrimenti sto anche considerando un Prophet 12(anch’esso molto potente e al contrario di Andromeda,con un’interfaccia che ne rende semplice la programmazione) ,che però dato la sua natura ibrida, non sembra suonare “pieno” come l’Andromeda” (anche se non ho mai provato il Prophet 12 di persona- mi attengo a ciò che sto ascoltando in rete).
    La ringrazio anticipatamente e le porgo cordiali saluti

    Reply

    • Enrico Cosimi

      |

      Carissimo,
      purtroppo i problemi di assistenza e reperibilità ricambi su Andromeda sono, se possibile, peggiorati. Di sicuro, non è economicamente consigliabile ricomprare lo strumento, a meno di non volersene deliberatamente FREGARE della tangibile ipotesi di una sua non riparabilità. I famigerati integrati ASO e ASF (rispettivamente, oscillatore e filtro) non sono più in produzione e, una volta esaurite le scorte disponibili, TUTTI gli Andromeda si fermeranno per sempre. Dal momento che stiamo parlando di un investimento pari a qualche migliaio di euro, è ovvio che occorre essere molto prudenti.

      Purtroppo, alternative vere e proprie non ce ne sono: il P12 è abbastanza potente, ma non abbastanza analogico per certi versi, il P6 è molto analogico ma neppure lontanamente paragonabile, per complessità, a quello che è possibile fare con un Andromeda.

      Da diversi segnali, sembra che nel prossimo futuro – diciamo prima metà 2017 – diversi nuovi polifonici potrebbero apparire sul mercato; speriamo che uno di questi sia sufficientemente potente per poter riprendere il discorso interrotto con Alesis Andromeda… per ora, non c’è nulla di simile all’orizzonte.

      Un vero peccato.

      Reply

      • Sergio

        |

        Grazie per le delucidazioni.
        In effetti è proprio vero che il P6 suona molto analog ma come complessità non è minimamente paragonabile ad Andromeda.
        Devo cercare di provare di persona un P12. perché con quello che ho visto in rete ,non riesco a farmi un’idea precisa . Comunque sembra capace di sonorità molto particolari e anche molto moderne forse un po’ come la Waldorf Q(della quale sono un fortunato possessore dal 1999),anche se quest’ultima è più cattiva e chiaramente totalmente digitale.
        Ma volendo, adesso ,si potrebbe fare una scorta preventiva di questi chip ASO e ASF? :)
        Grazie

        Reply

        • Attilio De Simone

          |

          Il DSi Prophet 12 non ha sostanzialmente nulla a che vedere con l’Andromeda A6. Indipendentemente dalla bellezza dei due strumenti, le caratteristiche di base sono molto distanti. Gli oscillatori dell’A6 sono analogici, mentre quelli del P12 sono interamente digitali (non analogici a controllo digitale) e già questo basta per differenziare in modo definitivo i due strumenti e renderli non paragonabili. Attualmente sul mercato non esiste una macchina polifonica in grado di poter essere avvicinato all’A6, soprattutto per varietà di filtri, caratteristiche di modulazione e profondità di programmazione data dagli inviluppi multisteps.

          Reply

  • Enrico Cosimi

    |

    ho provato (inutilmente) per anni a fare scorta di ASO e ASF… non ci sono riuscito; per di più, anche la mother board può avere problemi – e ci sono diverse macchine in giro che iniziano a non funzionare più…

    alla fine, ho venduto andromeda (a malincuore) e ne sento la mancanza, ma almeno dormo tranquillo

    l’unica alternativa, ma è pazzesco, consisterebbe nel comprare DUE o TRE andromeda e cannibalizzarle mano mano che escono fuori i problemi. non è cosa…

    sulla validità del P12 come sostituto per andromeda ho più di un dubbio

    Reply

    • Sergio

      |

      :)bella l’idea di comprarne due o tre e cannibalizzarle .
      Scherzi a parte questa storia di Andromeda è davvero molto triste.
      Un synth analogico potentissimo che ha avuto una storia travagliata fin dall’inizio.
      Peccato davvero.
      Vorrà dire che terremo le dita incrociate ,sperando in un’uscita di qualche polysynth analogico che vada a colmare questo buco lasciato da Andromeda .
      Grazie ancora per la sua disponibilità

      Reply

  • alex

    |

    beh… come possessore di andromeda e dopo aver letto l’articolo e gli inquietanti commenti, posso dire che incrocio le dita e me lo tengo ben stretto perchè come suona lui non suona nessun altro synth.

    Reply

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