Modular is the new black

Written by Jacopo Mordenti on . Posted in Software, Tutorial

Modulare è bello, modulare è ovunque. Epperò, dei sintetizzatori modulari, a imprimersi nell’immaginario collettivo dell’ultima decade non sono state solo le prestazioni, ma anche alcuni luoghi comuni intorno a essi. “Sono complicati”, sentenzia il tastierista della strada: semplicemente, NON E’ VERO.

Di Jacopo Mordenti

reaktor 1

Per argomentare una simile posizione vado a impiegare il padre nobile dei modulari software, quel dinosauro gargantuesco che è sopravvissuto – e non senza un certo stile – a intere ere geologiche e a una concorrenza sempre più agguerrita: Reaktor di Native Instruments.

Modulare fino al midollo – ché più e più volte si è parlato, anche qui, della sua sofisticata architettura: dalle Alpi alle Piramidi, dall’ensemble al core – con l’implementazione della programmazione per blocks Reaktor ha strizzato l’occhio all’ergonomia modulare in vorticosa ascesa, dando peraltro en passant una certa mano alla didattica della sintesi.

Perché? Perché ha consentito a una platea vastissima non solo di ascoltare, ma anche di apprezzare a colpi di pallucche come proprio in ambito modulare non esistono – o non dovrebbero esistere – i due grandi mali che affliggono le strutture di sintesi preconfigurate: il semplicismo da una parte, la ridondanza dall’altra. Una volta che si è postulata una certa lucidità dell’utente – non necessariamente smaliziato, ma certo nemmeno privo delle doverose basi: o davvero si pensa di poter programmare a tentoni? – quelle che ci si ritrova per le mani in ambito modulare sono catene di sintesi costruite a misura del risultato sonoro che si vuole ottenere. Né ricche né minimali: puntuali, piuttosto.

Facciamo un esempio pratico piccino picciò, chiamando in causa l’Invisibile Unicorno Rosa alle prese con “Dove hai la testa, agente Kujan?”.

Schermata 2017-12-11 alle 13.30.27

Fra le parti malconcepite da chi scrive ce n’è una – pilotata dal Mono Sequencer di M4L – generata giustappunto da una catena di blocks in Reaktor: un timbro semplice ma – almeno nelle intenzioni! – non banale, da realizzarsi in economia utilizzando la folle cifra di sei moduli, NOTE IN compreso:

  • West Coast DWG: IL modulo Buchla-style implementato nativamente da Reaktor. Già di suo – complice un’architettura che prevede oscillatore portante, oscillatore modulante, eccetera eccetera… eccetera! – è in grado di produrre risultati armonicamente molto più complessi del tipico oscillatore east coast; le cose diventano particolarmente sfrucuglianti se gli si abbina un…
  • Anche minimale, eh? Tipo il Bento: perfetto, nella sua semplicità, per far assumere alla modulazione della frequenza del modulante del West Coast DWG, attraverso l’ingresso di modulazione A, un carattere il meno ciclico possibile – nel mentre, è interessato dalla faccenda anche lo strategico comparto Timbre. Vanno in questa direzione latamente randomica la mancata sincronizzazione ai bpm del progetto, da una parte, e dall’altra l’adozione di una forma d’onda Sample & Hold.
  • Alla faccia della filologia west coast – che probabilmente chiamerebbe in causa il canonico Low Pass Gate – a questo punto della faccenda entra in scena uno stadio di filtraggio quale il Boutique Dual SKF, la cui architettura – muovendo esplicitamente da quella del filtro Sallen-Key – implementa un passa-alto E un passa-basso, entrambi risonanti. Inutile dire come, anche qui, un certo ruolo lo giochi la modulazione, demandata stavolta a un…
  • Inviluppo ADSR. Viva – una volta di più – la semplicità dei moduli Bento: innescato dal gate trasmesso dal NOTE IN, attraverso l’ingresso di modulazione A il nostro inviluppo va a modulare in maniera inversa fra loro le due frequenze di taglio dell’SKF.
  • È solo a questo punto che il segnale arriva all’amplificatore, modulato – e qui davvero si è alle prese con il minimalismo maximo – esclusivamente dal gate trasmesso dal NOTE IN. Stante la situazione, il VCA Bento va più che bene.
  • … E a proposito del NOTE IN: è imprescindibile per intonare il portante del DWG e, come detto, innescare via gate inviluppo e amplificatore; è ANCHE, però, funzionale a modulare tramite il control change 01 – tipicamente assegnato alla modulation wheel – alcuni punti strategici di oscillatore e filtro, andando a sfruttare in quest’ottica l’ingresso di modulazione B di entrambi i blocks. Nello specifico, si insiste sulla frequenza del modulante e sulla frequenza del passa-basso.

reaktor 2

La ricetta è tutta qui. Si, certo: si può colorarla con l’Ambiosoniq di Plug&Mix, si può comprimerla con il bx_opto Pedal di BrainWorks… ma il nocciolo della questione non cambia. Ancorché semplice, questa catena di sintesi difficilmente avrebbe potuto vedere la luce al di fuori dell’ambito modulare: se non per l’interazione fra i punti salienti, certo per il peculiare comportamento di essi. Al contempo, la sua costruzione non ha rappresentato alcunché di esoterico, giacché concettualmente parliamo pur sempre di oscillatori, filtri, modulatori. La morale è… ? Stay invisible, stay pink… stay modular.

Alla prossima!

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Comments (4)

  • Gianluca

    |

    Immagino molti tastieristi arricceranno il naso, come i chitarristi che disdegnano le accordature non-standard perché “le note stanno li è inutile cambiaglie l’ordine”. Ignorando le modifiche timbriche che vanno involontariamente ad attuarsi anche solo abbassando di un semitono una corda.
    e bah, bell’articoletto…

    Reply

    • Jacopo Mordenti

      |

      Gianluca, il naso si arriccia per lo specifico, unicornesco risultato – che può starci, ci mancherebbe! – o per l’idea di fondo?

      Alla fine, il mio contributo si traduce in un invito a entrare maggiormente nel merito delle opzioni di cui abbiamo la fortuna di disporre oggi, così da arrivare a ottenere in prospettiva risultati via via migliori.

      A ogni modo, grazie per l’apprezzamento.

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  • Enzo

    |

    A livello di CPU “sucata”, è più performante il Reaktor o il modular della softube?

    Reply

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