Bill Evans – Un’occasione per parlare di vita, musica e arte

Written by Antonio Antetomaso on . Posted in Events, Tutorial

Trattare in  due articoli uno dei capisaldi del pianismo Jazz quale è stato Bill Evans, pensando di dire tutto su di lui senza rischiare di cadere nel semplicismo più assoluto è un’impresa che rasenta l’impossibilità e, a mio avviso, costituisce quasi un’offesa nei confronti dell’operato di questo artista che tanto ha donato e continua a donare a legioni di pianisti. Per questi motivi, dopo aver chiesto perdono a coloro che hanno trattato in vere e proprie opere letterarie l’artista in tutti i suoi aspetti, vi do il benvenuto a questa piccola discussione il cui scopo è quello di far venire la voglia di avvicinarsi a questo pianista cercando di far capire perché è stato così speciale.

Di Antonio Antetomaso

Per fare questo, vorrei dividere la chiacchierata in due puntate, la prima (questa) dedicata un po’ a tutti in cui vorrei raccontarvi brevemente della vita e dell’attività artistica del pianista suggerendovi anche alcuni tra i dischi più famosi. La seconda, maggiormente dedicata ai musicisti, dedicata ai patterns, ai voicings e ai licks tipici dell’artista con accento sui contributi più importanti dati al jazz da egli. Nella seconda parte più che mai tratterò solo alcuni tra gli aspetti più importanti della tecnica di Evans, per ovvie ragioni di spazio e tempo.

Partiamo dai cenni storici e dal vissuto artistico: dire che Evans abbia avuto una vita travagliata è voler usare un eufemismo; sono in molti a sostenere che le vicende tristi legate al suo vissuto, unitamente al suo carattere fortemente sensibile e introspettivo sono state le leve principali del patrimonio artistico che l’artista ci ha lasciato. William John Evans nacque secondogenito nel 1929 da padre gallese  Harry emigrato negli Stati Uniti e madre russa Siroka.

La madre era una pianista classica e, con buona probabilità, fu lei a trasmettere a lui e a suo fratello Harry la passione per la musica. Furono i genitori a decidere le sorti musicali iniziali dei loro figli scegliendo lo studio del pianoforte per Harry e del violino per Bill che all’epoca aveva appena sei anni. A 13 anni Bill iniziò lo studio del flauto mentre il fratello proseguiva imperterrito la sua carriera pianistica.

Al giovane Bill, tuttavia, proprio non andava giù lo studio del flauto e seguiva sempre con interesse le lezioni di piano del fratello, tanto che iniziò pian piano a replicare gli esercizi di Harry sullo strumento che poi lo avrebbe accompagnato per tutta la via. Fu così che la sua passione per il pianoforte crebbe a tal punto da portarlo a donare tutto se stesso allo studio di questo strumento, iniziando dalla musica classica di Bach, Chopin, Debussy, Ravel, Stravinsky, autori questi che contribuirono a formare e fortificare le sue fondamenta di pianista.

Allo studio di questi artisti Bill Evans era solito dedicare circa 6 ore al giorno eseguendo le opere classiche con intensità e pathos, ma la vera svolta arrivò negli anni 50 quando il fratello Harry gli indicò la via del Jazz di cui Bill apprezzò la caratteristica principale: l’improvvisazione. Purtroppo Evans, negli stessi anni si avvicinò anche agli stupefacenti perché convinto che lo aiutassero a superare i momenti difficili, come la dura carriera militare. Bill iniziò la sua carriera nell’orchestra di Buddy Valentino all’età di 12 anni, militando nella quale iniziò ad andare oltre le regole dell’armonia tonale classica avvicinandosi al blues e all’improvvisazione.

I maggiori ispiratori di Evans dal punto di vista del pianismo Jazz furono Bud Powell e Lennie Tristano.

Evans, fu uno dei musicisti Jazz più completi, potendo contare oltre che sulle sue doti innate di compositore e interprete, anche su di un bagaglio di studi considerevole:  non interruppe mai i suoi studi classici e conseguì anche un diploma in armonia presso il Mannes College. Bill frequentò anche il Southeastern Luisiana College, dove si laureò nel 1950 ed entrò nella band di Herbie Fields. Dal 51 al 54 svolse il servizio militare, durante il quale suonò il flauto nella banda. Due furono le sue compagne, Elaine e Nenette, anche se l’artista sacrificò sempre la vita affettiva per portare avanti la sua carriera musicale. Numerosi eventi tristi offuscarono la sua vita, segnarono il suo carattere e, inevitabilmente, condizionarono il suo percorso artistico: la morte del suo contrabbassista Scott Lafaro nel 1961, per incidente stadale. Questo evento condizionò pesantemente il linguaggio musicale del pianista, allora ancora in divenire; la morte per suicidio della prima moglie Elaine nel 1971, gettatasi sotto la metro di New York; la morte del padre Harry alcolizzato e debilitato, subito dopo la morte di Elaine; la morte dell’amato fratello Harry nel 1979, anch’essa avvenuta per suicidio.

Al tema della morte Bill dedicò uno dei suoi album più intensi, “You must believe in spring”.

Questi eventi nefasti portarono il pianista sempre più sulla strada della depressione e della droga. Bill Evans morì nel 1980, un anno dopo il fratello. Lasciò un figlio, Evan, avuto dalla compagna Nenette, che vive attualmente in California e lavora alla produzione di colonne sonore.

Bill Evans è considerato una delle pietre miliari del Jazz, è uno dei padri del Jazz modale, proprio grazie al celeberrimo disco di Miles Davis “A kind of blue” in cui egli militò come pianista e in particolare all’arrangiamento e ai voicings con cui Evans eseguì uno dei brani più belli del trombettista, “So What”.

Di questo parleremo con maggior dettaglio nella seconda puntata dedicata ai patterns, ai voicings e ai licks Evansiani.

Sempre in merito al suo percorso artistico, si può dire che la sua carriera da jazzista professionista ha inizio nel 1955, dopo la carriera militare terminata l’anno prima, con la prima registrazione da professionista al fianco della cantante Lucy Reed, periodo durante il quale egli lavora anche alla composizione di uno dei suoi capolavori, Waltz for Debby. A questo link, potete trovare il brano.

La prima registrazione da leader professionista risale al 1956 con il suo trio (con Teddy Kotick al basso e Paul Motian alla batteria), New Jazz Conceptions; in essa si avvertono forti le influenze dei “mentori” di Bill, Lennie Tristano e Bud Powell. Al termine di questa esperienza iniziò una delle fasi artistiche più importanti, la collaborazione con Miles Davis per la registrazione del capolavoro “Kind of blue”.

Persino il celebre trombettista, benché abituato a musicisti di elevato talento rimase estasiato dalle sonorità che il pianista riusciva a tirare fuori dagli 88 tasti e di come tali sonorità legassero alla perfezione con il resto degli strumenti e degli arrangiamenti presenti nei suoi brani.

Diventato celebre grazie alla collaborazione con Miles Davis e ormai lanciato nell’olimpo dei Jazzisti più talentuosi e apprezzati, Evans lasciò la formazione del trombettista per formare il suo trio più apprezzato, quello con Scott LaFaro al basso e Paul Motian alla batteria, grazie al quale Bill tirò fuori il suo vero Jazz elegante, raffinato e di rara bellezza offrendo, durante questo periodo, l’immagine di sé che tutti i musicisti ricordano con più affetto: chino sul piano con i capelli brillantanti e il volto impallidito.

Prerogativa delle registrazioni con LaFaro è il suono caldo e avvolgente a dispetto dei virtuosismi eccessivi e stucchevoli. Registrazioni cardine di questo periodo felice furono:

L’idillio di questo periodo cessò bruscamente nel 1961 con la morte di Scott LaFaro.

 

Prima di chiudere ricordiamo le registrazioni più celebri di Evans, iniziando dai dischi che servirono a conferirgli 5 Grammy Awards:

 

  • Conversation with myself
  • Bill Evans at Montreaux Jazz Festival
  • Alone
  • Bill Evans Album

per proseguire con la lista dei suoi dischi, altrettanto celebri, possiamo citare:

  • New Jazz Conceptions (1956)
  • Portrait in Jazz (1959)
  • Explorations (1961)
  • Sunday at the Village Vanguard (1961)
  • Waltz for Debby (1961)
  • Undercurrent (1962), con Jim Hall
  • Moon Beams (1962)
  • Interplay (1962)
  • Bill Evans Trio at Shelly’s Manne-Hole (1963)
  • Trio ’64 (1963)
  • Stan Getz and Bill Evans (1964)
  • Bill Evans at Town Hall (1966)
  • Further Conversations with Myself (1967)
  • Autumn Leaves (1969)
  • You’re Gonna Hear from Me (1969)
  • From Left to Right (1970)
  • Since We Met (1974)
  • Re: Person I Knew (1974)
  • Intuition (1974)
  • Alone Again (1975)
  • Quintessence (1976)
  • The Paris Concert (1976)
  • I Will Say Goodbye (1977)
  • You Must Believe in Spring (1977)
  • Affinity (1978)
  • We Will Meet Again (1979)
  • Turn Out the Stars (1980)

Enrico Pieranunzi, celebre pianista Jazz italiano di fama internazionale, considerato uno dei più stimati eredi di Bill Evans e autore di una biografia del pianista scrive: “le sonorità morbide e risonanti, sempre conseguenti al carattere della narrazione in musica che egli sta improvvisando, senza mai ricercare uno scopo meramente decorativo o narcisistico”.

Alla prossima puntata, con l’analisi di alcuni tra i patterns e i voicings più famosi del pianista.

Tags: ,

Trackback from your site.

Comments (3)

  • mauro

    |

    Grazie, non bisogna mai smettere di ricordare questi musicisti e nel caso di Bill Evans si parla di un Gigante.

    Reply

  • Antonio Antetomaso

    |

    Sono contento ti sia piaciuto e spero seguirai la seconda puntata sui patterns e i voicings. In effetti Evans è stato una pietra miliare. Se si ama il Jazz non si può non amare anche lui. A presto.

    Reply

  • mauro

    |

    Yep!

    Reply

Leave a comment

Inserisci il numero mancante: *

ga('send', 'pageview');