ABC del Sound Design – Quarta parte

Written by Enrico Cosimi on . Posted in Gear, Tutorial

Dunque, dicevamo… Serve un Synth Bass – per ora, generico, successivamente caratterizzabile a seconda dei diversi contesti stilistici – e abbiamo già iniziato l’abbozzo timbrico scegliendo l’intonazione giusta, il tipo di articolazione corretta (l’inviluppo del VCA serve a quello…), il tipo di suono “di partenza (grazie alla scelta oculata per la forma d’onda più adatta).  Sia come sia, con tutto questo sforzo, il suono è ancora lontano da quello che abbiamo in mente.

Di Enrico Cosimi

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Occorrerà rimboccarsi le maniche e mettere in gioco uno dei tools più potenti all’interno del nostro sintetizzatore sottrattivo: stiamo parlando del filtro.

Parafrasando S.A. il Principe De Curtis, il filtro filtra. Ma proprio quest’azione di filtraggio – ovvero, la sottrazione delle armoniche ritenute non necessarie al nostro obiettivo – può e deve essere configurato in maniera raffinata. Il suo potenziale operativo è tale da mandare velocemente in crisi (intonazione a parte) il suono meglio progettato.

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Il filtro

Un filtro è, semplificando molto, una specie di saracinesca che il musicista può abbassare per non far passare porzioni di segnale ritenute poco necessarie.

A seconda del modo operativo – della “funzione di trasferimento” – un filtro Passa Basso potrà eliminare le acute, un filtro Passa Alto ucciderà le basse, un filtro Passa Banda taglierà base e acute (lasciando solo le medie), un filtro Respingi Banda creerà un buco nelle medie. 

Per tirare fuori un suono di synth bass convincente, 95 volte su 100, conviene usare un filtro Low Pass, il passa basso, appunto. 

Il nostro filtro passa basso può essere di tipi diversi come risposta timbrica e come tipo di trattamento. Ancora una volta, senza rifare ex novo la storia delle Sante Crociate, ci limiteremo a segnalare come, nello sviluppo della Musica Elettronica, si siano diffusi commercialmente almeno tre o quattro tipi di “suono” (cioè, di modo di filtrare) che fanno riferimento a precise realtà commerciali. Ciascun suono “di filtro” è più adatto ad un certo compito e, nelle disponibilità del digitale, o nell’opulenza dell’analogico, dovrebbero essere sperimentati approfonditamente.

Basta solo trovare qualcuno che paghi…

 

I filtri facili facili

Filtri diversi, a parità di comportamento dichiarato, producono risultati diversi influenzati dalle scelte costruttive e da altre considerazioni lunghe da riportare. Di seguito, uno riassuntino facile facile delle cose che non potete ignorare prima di girare il pomello marcato Cutoff Freqency.

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  • Filtro Moog; è grosso, ciccione, scuro, roccioso, macho, classico, rotondo, insomma è un filtro protagonista adatto alla buona totalità dei comportamenti timbrici che devono essere realizzati. Come è facile immaginare, i suoi pregi sono anche i suoi limiti: cotanta imperiosa rocciosità può risultare ingombrante in determinati contesti esecutivi. Di fondo, il filtro Moog ha una notevole presenza timbrica, un’altrettanto notevole facilità ad andare in auto oscillazione (cercate il comando Resonance) e, se ben realizzato, una spiccata propensione a perdere le basse quando si esagera con la Resonance.

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  • Filtro KORG; specie nel vecchio MS-20, il comportamento timbrico del filtraggio low pass è molto più acido e aggressivo di quanto non sia quello tipico Moog. Per questo motivo, un filtro KORG tende ad “uscire con maggior facilità” durante un mixaggio e, con opportune regolazioni, non fa affatto rimpiangere il modello americano. Penetrante, aggressivo, protagonista in maniera più moderna, è divenuto indispensabile nel linguaggio elettronico moderno.

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  • Filtro Roland; il classico filtro Roland low pass analogico è considerato il modello classico di suono acido. Con la Resonance al massimo, non perde le basse come il Moog, ha meno “fischio” del modello statunitense, può essere altrettanto cattivo quanto il filtro KORG, ma mantiene sempre una maggior educazione. Macchine storiche come la TB-303 hanno dimostrato al mondo la relativa unicità di un comportamento sonoro tanto semplice da gestire quanto espressivo.

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  • Filtro Oberheim; più aperto e meno cupo del modello Moog originale, il suono Oberheim è robusto quando serve, ma più versatile e meno “impostato” . Una peculiare tecnica costruttiva, permette la semplice gestione di tanti tipi di filtraggio differenziati all’interno dello stesso apparecchio. Minor cupezza  coincide, ovviamente, con maggior presenza residuale di armoniche acute.

A questo punto, il lettore curioso potrebbe essere colto da crisi e potrebbe voler ricorrere a Wilkipedia per capire qualcosa di più. I concetti di base, da approfondire a discrezione, sono il “Filter Slope”, la pendenza del filtro, ovvero la dimensione minore o maggiore della “banda di transizione”, cioè la capacità più o meno forte di abbassare il livello del segnale passante a partire dalla frequenza (di taglio) scelta dal musicista. Il comportamento può essere espresso in rapporto dB/Oct di attenuazione (Moog è -24 dB/Oct, KORG è -12dB/Oct) o come numero di “poli” (Roland TB dovrebbe essere a 3 poli, Oberheim è a 2 poli – ogni “polo” corrisponde a -6 dB/Oct di attenuazione). 

Al lettore, ancorchè curioso, non conviene addentrarsi nella mistica dei filtri… sarà cosa buona e giusta, in questo momento, tenersi lontani dalle definizioni più scientifiche dei tipi di comportamento: nomi come Butterworth, Cauer, Sallen & Key, Chebishev – in questa fase – devono apparire nella discussione solo dopo la seconda bottiglia di Ripasso Superiore. 

Prosit.

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  • Filtro Arturia; dieci anni orsono, l’elenco si sarebbe fermato qui, o – magari – avrebbe preso in considerazione ARP (ulteriori particolari in seguito). Sia come sia, l’efficace mossa commerciale di Arturia & Yves Yusson CONTROLLA CONTROLLA CONTROLLA ha riscritto le regole del gioco, recuperando un altro suono di filtraggio caratteristico dei vecchi strumenti realizzati da Nyle Steiner. Il filtro Arturia è aggressivissimissimo, impostato, ma non privo di versatilità, timbricamente alternativo e riconoscibile con un minimo di applicazione.

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  • Filtro ARP; d’accordo, bisognerebbe specificare quale filtro ARP… quello originale a 12dB/Oct, con le stesse pregevolissime caratteristiche riscontrabili in Oberheim; quello copiato a Moog, con gli stessi pregi e funzionalità: quello, finalmente, sviluppato per conferire originalità progettuale. Dei tre, tutti finalmente disponibili in un’unica macchina riprodotta da KORG & ARP, il più personale rimane sicuramente il primo, quello a -12dB/Oct. E’ fermo, non cupo, dotato di un eccellente coefficiente di sopravvivenza nel mix più affollato. Da non sottovalutare.

D’accordo, questa è la pappardella sui filtri più indispensabili, ma ancora non abbiamo capito cosa

fare con questi benedetti circuiti.  Ci siamo quasi…

 

Una considerazione, nell’economia della discussione

Di filtri, si discute e si può discutere per anni: amicizie solidissime si sono rovinate su questo argomento. Con l’evoluzione tecnologica, ogni caratteristica peculiare dei design originali è stata modificata, e quasi sempre migliorata.

Per dire: il filtro Moog, che perde le basse quando lo si carica di Resonance, ha avuto successive variazioni targate Sequential, (cioè SSM e CEM) che provvedono automaticamente alla compensazione; il filtro Oberheim che, in origine, è abbastanza stitico sulla resonance, è stato potenziato per renderlo più liquido; altri filtri originariamente rumorosi sono diventati… differentemente rumorosi. 

 

Un filtro serve per filtrare

Insomma, questo benedetto filtro Low Pass/Passa Basso, utile alla realizzazione del nostro suono generico di synth bass,svolge un compito principale: scurire il suono togliendogli le acute che noi reputiamo non necessarie.

Questo comportamento timbrico può avere luogo in due maniere, capirne la differenza è abbastanza importante:

  • come comportamento statico; cioè in assenza di qualsiasi modulazione da parte di inviluppi, lfo o altri circuiti del sintetizzatore – praticamente, il filtro diventa una specie di equalizzatore/controllo di tono fin troppo efficace;
  • come comportamento dinamico, cioè automatizzabile attraverso controllo da parte di inviluppi, lfo o altri circuiti del sintetizzatore; come negli strumenti “veri”, in questo modo è possibile differenziare la caduta delle armoniche acute dalla caduta di volume complessiva nel suono che stiamo programmando.

Naturalmente, salvo rare eccezioni – musicisti ambient/drone – strumenti stra super ultra iper limitati (tipo Davolisint), che siano privi di filtro e/o inviluppo, il filtro nel sinteizzatore sarà usato con il suo bravo generatore d’inviluppo, per – appunto – automatizzare apertura e chiusura del medesimo, cioè per definire l’andamento timbrico nel tempo.

Però, prima di lanciarsi alla conquista della Cutoff Frequency e dell’Envelope Amount (attenti a quei due…), occorre ragionare sopra un’altra cosa.

 

Il filtro filtra, ma se non c’è niente da filtrare, che cosa si filtra?

Con una logica che potrebbe fare invidia al famoso carrozziere capitolino, è ovvio che il musicista dovrà mettere il filtro del proprio strumento nella miglior condizione per poter svolgere il proprio lavoro.

Insomma:

  • un’onda sinusoide, che non ha acute di alcun genere, è la scelta più sbagliata per provare su strada il nostro low pass filter; semplicemente, non c’ niente da filtrare;
  • un’onda triangolare, che ha pochi pochi pochi acuti, renderà quantomeno limitato il comportamento del filtro passa basso; provare per credere;
  • un’onda dente di sega, gonfia come un’uovo sodo dentro al suo guscio, fornirà la massima ampiezza di manovra al filtro low pass; anche la minima variazione di Cutoff Frequency porterà a dei risultati timbricamente riconoscibili e interessanti;
  • un’onda quadra risulterà come sopra: bella, ricca, intensa al punto giusto da poter offrire tutto il margine operativo necessario a far godere il nostro filtro.

Insomma, come (già citato) diceva quel fenomeno di Karlheinz, la (micro) progettazione dell’evento sonoro, a partire dal suo contenuto armonico di base, è il primo importante compito del musicista elettronico. Perdindirindina.

Di contro:

  • se un filtro low pass è troppo chiuso, hai voglia a scegliere la forma d’onda per sentire le caratterizzazioni timbriche… semplicemente, il passa basso taglierà buona parte delle componenti riconoscibili del suono e renderà tutto timbricamente omogeneo.

Meglio non esagerare. 

La prossima volta, metteremo su strada il Low Pass Filter e – dall’interazione tra Cutoff Frequency e Envelope Amount – estrarremo fondamentali ammaestramenti di vita. Tra l’altro, impareremo che, contrariamente a quanto pensano taluni strumentisti italiani, l’espressività è fatta di cambiamenti e – incredibile dictu! – non c’è cambiamento senza variazione. 

Dove andremo a finire?

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Comments (6)

  • Mooncut

    |

    Il filtro filtra, ma se non c’e’ niente da filtrare, che cosa si filtra? Ok!

    Reply

  • fabrizio

    |

    Curtis filter?

    Reply

    • faber

      |

      Non scuoce mai! 😉

      Reply

  • Viveka

    |

    La classica domanda banale. Questa palestra si può fare con il Kurzweil K2500r?

    Reply

    • Enrico Cosimi

      |

      beh, devi trovare nell’architettura VAST una configurazione che ti dia oscillatore, filtro, amplificatore e due inviluppi…

      Reply

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