Una tazza di tè in compagnia della KORG Wavestation A/D

Written by Enrico Cosimi on . Posted in Tutorial

Ci sono sintetizzatori che giocano brutti scherzi. Magari sono concettualmente semplici, eh? Eppure – com’è come non è – finiscono in quattro e quattr’otto per disegnare paesaggi sonori degni di Lewis Carroll, alternando bianconigli, cappellai matti e leprotti bisestili. Prendiamo un evergreen come la Wavestation A/D di mamma Korg: dietro le mentite spoglie di un innocuo sintetizzatore in formato rack si cela un motore sonoro fatto di vettori, wavesequences, effetti.

Di Jacopo Mordenti

mad hatter

Capite bene che un povero utente indifeso – alle prese con joystick, crossfade, ecc. – dopo qualche timido tentativo di programmazione si ritroverà verosimilmente a metà strada fra lo stordito e l’affascinato, finendo per sedersi ad una tavola immaginaria con i bislacchi personaggi di cui sopra, davanti ad una buona tazza di tè.

La conversazione, manco a dirlo, non sarà troppo semplice da seguire:

  •  Ah, la sintesi vettoriale: quello che ci vuole per dei pad vivi! In modalità Patch si portano a bollore 2 (o 4) catene di sintesi sottrattiva dotate di tutto il necessaire (forma d’onda, filtro, modulatori); al momento giusto si mette in infusione un po’ tutta la faccenda, demandando agli step temporali di un mixer a valle (5) l’automazione dell’ampiezza relativa di queste stesse catene. Fatto ciò non resta che servire il tutto con i pasticcini del caso, portandosi in modalità Performance e lavorando di effetti (2 blocchi stereo o dual mono), nonché di split & layer (fino a 8).
  • La fai facile! La verità è che tutta la ricetta è disseminata di punti interrogativi. Quello che tu chiami pomposamente “tutto il necessaire” sarà stato tale nel 1993, ma oggi è obiettivamente al di sotto del minimo sindacale. Mica vorrai sostenermi che la wavetable a bordo “non è poi così smaccatamente anni ’90 come sembra” ? Mica vorrai dirmi che quello della Wavestation è un vero stadio di filtraggio ? Per non parlare della logica gestionale: uno pensa di avere fatto il più e il meglio, nell’aver regolato a puntino il motore vettoriale, e invece… zac! Deve mettersi a fare i conti con le dipendenze fra performances, patches, wavesequences e rispettivi banchi!

Schermata 03-2456374 alle 16.34.14

  • Suvvia, non è il caso di farne una tragedia. Stiamo parlando di una leggenda degli strumenti musicali: una personalità del genere varrà bene qualche sacrificio, no? Sennò trovamela tu una macchina da poche, pochissime centinaia di euro in grado di ammaliare con qualcosa di simile alle wavesequence.
  • Piano un momento! Sfatiamo questo mito una volta per tutte: basta che gli inviluppi della propria macchina possano essere messi in loop, come sulla PC3 di Kurzweil, per…
  • Ma che loop e loop! Stava parlando delle wavesequences, non del motore vettoriale. Lì effettivamente non c’è storia, a meno di non tirare fuori una barca di soldi per Kronos o passare al software con Legacy e compagnia bella. Epperò non nascondiamoci dietro un dito: programmare efficacemente una wavesequence non è questione di due minuti due, fermo restando che i campioni di partenza… be’, ci siamo capiti.
  • Dai, ragazzi, guardiamo il bicchiere mezzo pieno! Mettiamo sul piatto le schede di espansione, i due ingressi per accogliere altrettanti segnali esterni, la…
  • I “segnali esterni” qui, i “segnali esterni” là… ma ti pare che vado a usare una Wavestation A/D come processore di effetti? Sai che affare: una manciata di riverberi, delay e modulazioni… e un paio di distorsioni sulle quali è meglio sorvolare.
  • Ma ci fai o ci sei? I segnali esterni vengono trattati dalla macchina come 2 delle 4 componenti di una patch. Ti pare poco? Sarebbe proprio da sentire il connubio – che so? – fra un Matrix 1000 e la Wavestation: ah, se sarebbe da sentire… !
  • Bah, quanti arzigogoli! E comunque prova a trovarle, le schede di espansione di cui parli. E già che ci sei metti in conto la sostituzione della backlight e/o dell’inverter, tanto per ricordarci che parliamo di una macchina che ha oltre quindici anni sulle spalle.
  • (e via così…)

 

Signori, vi prego… un momento di attenzione. Abbiate la bontà di ascoltare la demo che segue:

Schermata 03-2456374 alle 16.32.35

La nostra adorabile ragazzona, pur con tutti i suoi limiti, mi pare tenere la scena piuttosto bene. Tra l’altro non è mica detto che non si possa andare oltre ai pad, anzi: anche con lead, hit, ecc. ecc. ci si diverte non poco.

E ora ditemi, in tutta franchezza: chi gradisce un’altra tazza di tè ?

 

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Comments (3)

  • cactusound

    |

    il mio primo, intramontabile, synth! (Wavestation EX)
    in 20 anni ho provato anche un paio di volte a venderlo per (si sa) comprare altro, ma poi non ce la si fa.
    insostituibile! <3
    ho avuto modo anche di ascoltare la versione software di Korg, ma devo ammettere che perde parecchio nella "pacca" e nella "pasta" sonora, molto probabilmente dovute al convertitore D/A del synth, che lungi dall'essere "pristine" ha un carattere che riconoscerei anche ad occhi chiusi, più della wavetable di per sé.
    a riprova che un synth hardware non è solo osc e filtro, ma la somma di tutto, perfino del tipo di controller integrati.
    l'unico rammarico è che purtroppo è nato nel periodo "nero" dei synth minimali e digitali con solo uno slider per tutti i (mille?!) parametri interni.
    ma per questo esistono in commercio alcuni programmer sysex niente male.
    circa 10 anni fa, durante la mia tesi di laurea inerente la progettazione di interfacce per il suono, ho avuto la fortuna e il privilegio di poter scambiare diverse mail con John Bowen, che al periodo stava lavorando a diversi progetti quali il suo immaginifico solaris (ancora in una visione software per DSP), e non ho potuto fare a meno di ringraziarlo per questo suo gioiello che è diventato indubbiamente un classico.

    Reply

  • gigios

    |

    “ho avuto modo anche di ascoltare la versione software di Korg, ma devo ammettere che perde parecchio nella “pacca” e nella “pasta” sonora, molto probabilmente dovute al convertitore D/A del synth”

    Dovuto essenzialmente a ciò che è a valle del convertitore D/A, le
    macchine Kurzweil per esempio suonavano con più “spessore” delle
    altre, proprio per la particolare sezione analogica che c’era dopo il convertitore.

    Reply

  • Enrico Cosimi

    |

    diciamo che, ogni volta che entra in ballo una versione soft, occorrerebbe controllare tutti gli anelli della catena… 😉

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