Suono elettronico: ipotesi per un criterio di valutazione
Molto spesso, nella pratica elettronica quotidiana – tanto basata sull’hardware che sul software – si discute attorno alla bontà del suono elettronico, cioè alla presunta superiorità di un sistema di generazione nei confronti di un altro o alla validità di una filosofia costruttiva in rapporto all’uso che se ne deve fare. Fatta la tara al vizio nazionale (qualcuno ci ha argutamente definiti “una nazione di commissari tecnici”…), ci punge vaghezza – in questa giornata piovosa – di squadernare qualche spunto di riflessione, cercando di arrivare a capire perché un determinato suono elettronico sia da considerarsi migliore di altri. Inutile dire che mettersi alla ricerca della pietra filosofale sarebbe stato meno impegnativo…
Di Enrico Cosimi
Per “suono elettronico”, a scanso di equivoci, intendiamo non il linguaggio compositivo/espressivo che è stato fatto proprio da generazioni di musicisti, ma proprio la qualità intrinseca del segnale generato dallo strumento musicale elettronico: cosa è che rende più valido il timbro del Minimoog Model D rispetto a quello prodotto da un Davolisynth mal conservato? Ed è poi vero che il Buchla 200e possa essere più timbricamente appetibile di un KORG MS-20? Iniziamo a stendere la nostra merce sul tappeto.
Spunti di riflessione
Cosa influenza la nostra valutazione applicata ad uno strumento elettronico hardware? Di seguito, qualche ipotesi:
- il fattore emotivo; l’importanza che quello strumento (un classico esempio, il Moog Modular System) ha avuto durante la nostra – molto probabilmente non florida dal punto di vista economico – adolescenza; quindi l’identificazione dell’oggetto con il materiale artistico prodotto attraverso esso. Sollevato il sasso, sul fondo compaiono un mucchio di vermi brulicanti (o, se preferite un’immagine meno ributtante, facciamo riferimento al vaso di Pandora…). Keith Emerson era fenomenale perchè si muoveva di fronte ad un torreggiante sistema modulare? e Rick Wakeman colpiva l’immaginario collettivo perchè era circondato da un intero negozio di tastiere?
- il fattore identificativo; come dire “il risultato per il mezzo – il mezzo per il risultato”… Il Mellotron è un formidabile sistema espressivo perchè sopra di esso sono state scritte pagine immortali del Prog Anni 70? O certi brani sono immortali perché utilizzano le timbriche del Mellotron? Strawberry Fields Forever sarebbe magica senza i flauti suonati a bicordi? E In the Court of the Crimson King sarebbe maestosa anche senza gli archi “a nastro”? Ancora: Impressioni di settembre, con la celebre frase originariamente concepita per… tre sax in unisono (confronta un’intervista fatta dal sottoscritto a Flavio Premoli su Rec’N’Play del 2001) avrebbe avuto lo stesso impatto epocale? E, alla fine dei giochi, è il Minimoog D a essere divenuto icona del Prog perchè lo abbiamo ascoltato in celebri riff?
- il fattore economico; molto più spesso di quanto non si pensi, la nostra capacità di esprimere giudizi è influenzata dal prezzo dichiarato per un apparecchio – specie se, di base, quel determinato apparecchio non possiamo permettercelo. Fate una prova e, girando su YouTube, visionate uno dei tanti video in cui è possibile apprezzare (more or less…) le caratteristiche timbrico funzionali di un apparecchio di cui ignorate il prezzo e interrogatevi: vi piace? lo comprereste? Novanta volte su cento, la risposta è mediata da un “dipende da quanto costa…” per qualche centinaio di euro, si è disposti a tralasciare limiti di funzionamento o curiosi comportamenti timbrici; per un prezzo elevato, si pretende il meglio.
- il fattore tecnico; ancora più subdolo dei precedenti, è un tipo di ragionamento speculativo che colpisce preferibilmente gli utenti “tecnologicamente consapevoli”, come dire che uno strumento XYZ è più bello, o preferibile a uno strumento ABC semplicemente perchè il costruttore ha previsto per quel progetto una pletora di opzioni di funzionamento, rendendolo tecnicamente molto potente. Ma la potenza tecnica è sinonimo di qualità timbrica?
Ed eccoci tornati al dunque: cosa è la qualità timbrica?
Qualità timbrica: il concetto inafferrabile
I nostri antenati dicevano quot capita, tot sententiae, grossolanamente traducibile con “per ogni testa c’è un’idea/opinione diversa”. Così è nella valutazione timbrica di uno strumento. Procediamo per (macro) casi
Minimoog D
Un classico per tutte le stagioni, con il timbro più maschile, violento, grasso, “analogico” che abbia colpito l’immaginario collettivo degli ultimi 40 anni di electro music. La caratterizzazione sonora dello strumento è – comunque – talmente esasperata che, più spesso di quanto non si possa pensare, il timbro del Minimoog può risultare ingombrante in determinate produzioni musicali, ad esempio nelle costruzioni Noise, nella Dubstep o dovunque sia necessario non invadere il panorama del mixaggio con questo tipo di elefante timbrico (ovviamente, detto con il massimo rispetto per l’elefante e con il massimo affetto per il sintetizzatore).
KORG MS-20
La caratteristica sonora acida, penetrante, naturalmente emergente all’interno di un mixaggio è frutto della peculiare struttura a doppio filtro seriale, con comportamenti quasi sempre contrastanti di modulazione sotto inviluppo (per la parte low pass) e comportamento statico/tone control per il filtro high pass ampiamente risonante. Squeaking, sweeping e altre suggestive onomatopee sono patrimonio facilmente raggiungibili con questo apparecchio.
Ancora più macroscopico il potenziale del modello MS-10, dotato di un solo oscillatore e quindi naturalmente candidato ad emettere la massima energia sonora nella produzione di synth bass. Non ci sono battimenti, non ci sono interferenze distruttive… tutta l’energia sonora dello strumento è concentrata sulla fondamentale (la nota che state suonando) e sul corredo di armoniche superiori proprie alla forma d’onda utilizzata. Non si va molto lontano nell’elaborazione timbrica – ci torneremo a breve… – ma si arriva subito al fondo scala dei ledmeter.
MA E’ OBBLIGATORIO PARLARE SEMPRE A VOCE ALTA? Con la stessa sgradevolezza con cui leggiamo un commento tutto in maiuscole, ci si può trovare di fronte a un sint che sembra fatto apposta per correre sempre a 200 kmh, senza alcun tipo di incertezza: struttura limitata e unico inviluppo, di solito, portano ad una certa qual uniformità dei risultati. Se quello che vi serve è il mainstream senza dubbi, avete trovato la vostra macchina; se volete fare della ricerca e vivete nelle infinite sfumature comprese tra bianco e nero, forse avete scelto un tool troppo essenziale.
Buchla
Dimentichiamoci per un attimo l’assurdo prezzo richiesto – solo in parte gustificabile da produzioni numericamente contingentate – e concentriamoci su due fattori che possono influenzare la valutazione timbrica:
- la struttura peculiare di certi moduli porta alla naturale produzione di timbriche che – in altri apparecchi- sarebbe difficile, se non impossibile, ottenere; che poi queste timbriche siano legate/collegate ad un preciso vocabolario sonoro di ricerca, è un altro discorso… sicuramente, Jordan Rudess non sceglierebbe il Buchla Synthesizer per i suoi fraseggi in 256esimi…
- la diffusione di un determinato vocabolario timbrico; da Silver Apples of the Moon (“una bellissima composizione, mal realizzata”, nelle parole di Wendy Carlos) in poi, si è diffusa la necessità di poter generare velocemente il blip and blop tipico di una certa sonorità elettronica; “quel” blip and blop è difficile da tirare fuori con un sistema tradizionale, pressochè inevitabile da raggiungere con Source of Uncertainty e Dual Oscillator. Non a caso, nel panorama EuroRack…
Doepfer Modular A-100
Il sistema A-100 è stato il primo modulare in formato EuroRack ad essersi abbattuto sulla comunità dei musicisti elettronici; a fronte di un’economia di scala assai contenuta (un Doepfer costa, in media, quasi la metà di altri moduli EuroRack, quale che sia il comportamento selezionato…), lo strumento può garantire un ampio raggio timbrico: collegati semplicemente i moduli e limitato l’intervento umano al minimo indispensabile, non ci si può aspettare nulla di particolarmente esaltante; ma già prendendosi la briga di spingere al massimo con i volumi (tanto in ingresso al filtro, quanto in uscita alle diverse sezioni di amplificazione) ecco che il suono si apre e inizia a rombare sulle basse; se poi quello che serve è la selettività espressiva, l’enfatizzazione su determinate armoniche e il controllo al di fuori del tracciato principale, occorrerà lavorare sulla sincronizzazione degli oscillatori, sulal scelta/comportamento dei filtri e – più in generale – sulla struttura generale del proprio sistema.
In generale, lo strumento a struttura modulare offre una quantità maggiore di variabili che devono essere tenute in considerazione. E’ banale, ma occorre ricordarlo: volumi delle sorgenti sonore, rapporto S/N per filtro e amplificatore, ottimizzazione degli inviluppi e consistenza dell’alimentazione (il che significa: manutenzione costante) sono le chiavi per poter partire con il piede giusto.
Prophet 5 e Prophet 08
Non è la stessa macchina, il secondo non è stato concepito per suonare come il modello originale di fine Anni 70; pretendere un comportamento del genere significa andare incontro a una sicura delusione. Alcune componenti timbriche sono più interessanti che nel modello analogico, altre caratteristiche (grassezza, imprevedibilità, aggressività) sono indissolubilmente legate alla circuitazione originale.
I virtual analog
Il discorso diventa più complicato: come considerare un sistema che si rifà ad un archetipo timbrico che potrebbe essere non comune per tutti? Il Virus TI è modellato sullo stesso concetto analogico che anima(va) il Novation Supernova? Meglio non investigare, quantomeno per mantenere la discussione all’interno di limiti umanamente percorribili… rimane il fatto che anche i virtuali hanno un proprio suono, che deve essere valutato e che – nel corso degli anni – è stato contestualizzato all’interno di diverse scuole musicali.
Clavia Nord Lead
Le quattro incarnazioni del Nord Lead (1, 2, 3, 2x) sono caratterizzate da un suono caratteristico – il famoso “suono Clavia” – che è ovviamente riconducibile ad un passato analogico “reale”, ma che ha dalla sua una dinamica, una botta che lo rende riconoscibile perlomeno all’interno di determinate produzioni musicali. Sono sistemi impostati su un certo concetto di polifonico analogico, dove non è possibile modificare drasticamente la struttura di sintesi, ma dove è possibile raggiungere con velocità risultati timbricamente interessanti. Lo standard iniziale è giù molto elevato.
Novation Nova/Supernova
Sono ormai strumenti vintage, reperibili solo di seconda mano; hanno – a differenza di altri virtual analog – un timbro liquido, meno sbilanciato sulle acute aggressive e più contenuto. L’avvocato del diavolo dice: ma la valutazione dell’oggetto deve essere condotta considerando la pletora di effetti indipendenti per ciascuna parte? Cioè: è corretto lasciarsi influenzare dalla “performance” di uno strumento – interpretando “performance” in tutti i sensi… o è necessario fare un’astrazione? Di fondo, i Novation sono più rotondi timbricamente. In bene e in male.
Roland Jp8000/8080
Altro esempio di virtual analog ormai vintage: anche se, all’epoca, una notevole somiglianza timbrica con il JP8 originale era recuperabile, ci si chiede – dopo abbondanti decenni di onorato servizio, ma è lecito/possibile/prevedibile pretendere prestazioni sostituibili a quelle dello strumento originale? Da non sottovalutare, nella valutazione, l’apporto pressochè unico del Feedback Oscillator. Una vera macchina viscerale.
Il discorso potrebbe andare avanti per molto, molto tempo.
Vi sentite pronti a ragionare sul perchè vi piace un suono invece di un altro? Buon divertimento…
Tags: analog, suono elettronico, vintage, virtual analog
Trackback from your site.
Comments (37)
Antonio Antetomaso
| #
Articolo interessantissimo? Ci sarà un seguito? Magari sui virtual analog software più famosi?
Reply
Antonio Antetomaso
| #
…(pardon per il doppio commento erroneamente inserito)…
Reply
Antonio Antetomaso
| #
Articolo interessantissimo!! Ci sarà un seguito? Magari sui virtual analog software più famosi…
Reply
Enrico Cosimi
| #
mah…. solo il tempo potrà dircelo
Reply
Giovanni
| #
Mi sembra un articolo interessantissimo…
Reply
nicola
| #
il panorama eurorack è a mio parere quello che ingloba più timbriche, dal east coast al west coast … come si usa dire in Ammmerrica!
ultimamente poi con l’uscita di nuovi moduli ispirati al buchla modulare (east cost) si può arrivare a sonorità prima più difficli da ottenere!
un’altro panorama sto ultimamente vedendo in ascesa: il Clone Synth DIY
… se il futuro ci riserva moduli da auto costruire e cloni di marche note da comprare o sempre da autocostruire, bhe io insieme al mio synth preparo anche il saldatore!!
Reply
Enrico Cosimi
| #
di sicuro, in EuroRack ormai si trova di tutto; se dovessi ricominciare con quel formato, mi concentrerei su diversi filoni “filosofici”:
a) la qualità costruttiva – Cweyman
b) lo sperimentalismo – MakeNoise, 4ms, HarvestMan…
c) il rapporto Q/P – Doepfer
insomma, ce n’è per tutti i gusti!!!
Reply
nicola
| #
si makenoise, 4ms , ma anche altri brand come ADDAC, Wmd, toppobrillo, intellijel, stanno sfornando sempre nuovi moduli, l’uno più bello dell’altro! ultima new entry è il furtherrr vco della Endorphin.es … che figata!
Reply
nicola
| #
buchla è west coast, scusate per lo sbaglio madornale
Reply
riccardo
| #
Bellissimo articolo, complimenti!!!
Reply
Enrico Cosimi
| #
grazie! l’importante è che possa tornare utile…
Reply
federico
| #
si parlava di VA: ero curioso di avere un tuo parere sul bistrattatissimo microkorg! Bell’ articolo: ora vogliamo il seguit 😉
Reply
Enrico Cosimi
| #
secondo me, per quello che costa è una cannonata!!
ho qualche perplessità sull’opportunità di continuare autonomamente la discussione: la mia idea era di sottoporre degli spunti di riflessione da condividere…
Reply
Cactusound
| #
Per gusto strettamente personale considero il vero suono analogico quello a la ARP 2600/Odyssey, e, perdonate l’eresia, non mi sono mai esaltato particolarmente sul condendente storico Mini Moog (anche se ne riconosco la “presenza” e la “storia”). Per ovvie ragioni economiche e tecniche (io trovo sempre utile su tutto il protocollo midi o alternative più moderne) ho cercato dei degni cloni, dapprima in VSTi con il Gmedia e poi, definitivamente, con la versione desktop di Creamware|SonicCore Prodyssey, magari passando per un pre valvolare. Adoro quel timbro “scientifico”, metallico e aggressivo e il routing atipico proprio dell’Odyssey. Impossibile uscire con sonorità banali e standardizzate!
Di recente ho avuto poi la fortuna (e il coraggio) di poter importare un Muron Plant Aelita dall’ Ukraina, e ho scoperto e imparato ad apprezzare anche il suono più a la Minimoog. Ho provato a fare un modding per inserire il glide (unica cosa che gli manca per essere come e più di un Mini) ma ho dovuto desistere: studiandone la circuitazione, con l’aiuto di un valente appassionato di elettronica e una badante (!) russa per le traduzioni, abbiamo appurato che sarebbe stato come tentare di operare un venusiano con le sole conoscenze del corpo umano terrestre: oscillatori che viaggiano al livelli di frequenze radio per poi essere ridotte al campo dell’udibile, e voltaggi di controllo della tastiera oltre l’immaginabile…ma forse, mi son detto, questo è il segreto di quel suono inimitabile, caldo e ne tempo stesso cristallino. Solo i progettisti saprebbero a questo punto come procedere…
Questi i miei due synth che mi hanno stupito parecchio per la percezione del “buon suono”.
Concordo in pieno per la rivalutazione dei tesori nascosti, delle chicche misconosciute e/o eclissate da anni di “divismo” dei synth teste di serie (anche se l’Odyssey lo è eccome una testa di serie).
Ne potrei elencare a bizzeffe, ma basta navigare nei mercatini o su ebay, o meglio, se si è fortunati, i negozi di seconda mano.
Un banale organo GEM da 50 euro del ’79 può stupire per il suono di synth che posside tra i suoi preset.
Reply
astrolabio
| #
grande articolo!
Reply
Enrico Cosimi
| #
opperbàcco!!!
(scherzi a parte, sono contento che l’articolo risulti utile; secondo me, è un argomento che meriterebbe delle considerazioni quasi quotidiane…)
Reply
Francesco
| #
Ho passato molto tempo a cercare soluzioni economicamente più accessibili, ma alla fine ho capito che l’unico strumento che potrebbe veramente soddisfarmi è un piccolo sistema buchla 200e, per il quale sto lentamente risparmiando per costrulirlo poco a poco. non comprerò null’altro e fino a quel momento farò col mio ibook g4, reason 4.0 e una novation slmkII25.
perchè ho deciso così?
principalmente perchè il designer in questione pone come obiettivo prioritario, oltre all’introduzione unicamente di funzionalità NON ritrovabili altrove, l’interfaccia. Lo strumento musicale deve poter essere un’estensione del mio gesto musicale, come un pianoforte o come un violino.
il fatto di poter implementare, anche se parzialmente, presets su uno strumento così articolato è semplicemente geniale. e dico anche parzialmente perchè il risultato di una tecnica esecutiva in questo campo secondo me è una combinazione di gesti ed automazione. senza considerare che persino i presets sono alla fine relativizzati, infatti in uno di essi è possibile salvare le impostazioni anche solo di alcuni moduli e non di altri. una perfetta soluzione che media tra il “quel che vedi è quello che ottieni” e la memorizzazione di un numero spropositato di settings in una situazione live.
ok sono veramente un fissato.
Reply
Enrico Cosimi
| #
molto diplomaticamente – cerca di leggere tra le mie righe – prima di imbarcarti in una spesa del genere, posso consigliarti di contattare il mio conoscente Pierpaolo Caputo (sicuramente, in giro recuperi la sua email, altrimenti contattami in pvt) e chiedere a lui come si è trovato con il Buchla 200e? 😉
Reply
Ricky
| #
E’ sempre un piacere leggerti Enrico.
Io sono un semplice appassionato che ha avuto la fortuna (essendo ormai vicino ai 50) di poter provare molti synth e software iniziando dall’epoca degli albori del MIDI.
L’idea che mi sono fatto è che per me i suoni sono un po’ come dei colori che, abbinati assieme o anche da soli, riescono a darci delle emozioni. Per questo motivo sono certo che anche in un D110 ci si possa pescare qualcosa di buono ma la ricerca di qualcosa di nuovo è, fondamentalmente, la cosa che mi spinge a continuare ad andare avanti senza fermarmi su quello che ho già…salvo alcune macchine che ho e che ormai considero parte del mio dna musicale le quali, per diversi motivi, mi regalano sempre belle emozioni quando ci metto le mani sopra indipendentemente che siano analogiche, digitali o virtuali o mezzo e mezzo.
Saluti
Ricky
Reply
Enrico Cosimi
| #
Ovviamente, del buono è reperibile ovunque (salvo rari casi veramente disperati…); l’approccio migliore è proprio quello che privilegia la fattibilità del risultato a prescindere dalle strade seguite per ottenerlo nel/con lo strumento.
Conosco un musicista elettronico abbastanza noto che, invece di programmare inviluppi particolari sul VCA, articola le note aprendo e chiudendo il controllo di volume sul sintetizzatore…
Reply
Ricky
| #
…io, quando finisco le dita, prendo un fermaporte in gomma e lo infilo tra i tasti e la lamiera dei synth…così ho “l’hold” hardware 😉
A questo punto propongo l’articolo “casi disperati” potrebbe essere molto interessante 😀
Per questo articolo sarei tentato di scrivere OB12 Oberheim anche se 1 suono per me bello ero riuscito a farlo (ma giusto uno) prima di venderlo.
Reply
Enrico Cosimi
| #
tengo presente…
Reply
synthy
| #
come un sasso lanciato nello stagno comincia a fare onde così è il concetto di questo articolo da riflessione.
le stesse domande me le sono fatte molte volte nel corso di qualche decennioo e la risposta matura è arrivata sempre uguale: quando c’è di mezzo il cervello umano coi suoi lobi frontali non esiste altro che il gusto o piacere personale!
meglio bionda rossa o bruna? formosa o secca? come ogni donna ha pregi e difetti in ogni sua tipologia, carattere, vestibilità così ogni macchina musicale li ha nel suono che emette o nel pannello di controllo.
ogni essere umano è diverso e quindi avrà diversi parametri non oggettivi nè lineari di scelta del suono che più piace.
la cosa migliore è avere la consapevolezza di quello che musicalmente si vuole ottenere ed usare la mcchina giusta, senza rinunciare ad avere la mcchina “del cuore”.
e se così non fosse saremmo tutti chitarristi con la fender il marshall e la donna bionda…beh sempre meglio che che ottavinisti con la Pina di Fantozziana memoria.
Reply
Giovanni
| #
Sarebbe interessante, da parte di Enrico, fare una breve descrizione delle caratteristiche sonore di alcuni synth di importanti case.
Ricordo di aver letto, molti anni fa, alcune osservazioni sulle più importanti caratteristiche di base degli strumenti a secondo delle case cui appartenevano. Anche se poi nel loro ambito ci sono differenze nei vari modelli, ci sono sicuramente delle similitudini tra loro…ad esempio Roland, Korg, Yamaha, Kurzweil, Moog, Oberheim, Waldorf, Arp, Studio Electronics.
Reply
Enrico Cosimi
| #
sarebbe comunque un parere soggettivo; diciamo che il confronto tra le macchine potrebbe partire da una lettura (appunto) soggettiva, per poi proseguire con ascolti sia “di persona” che desunti da discografia (ma sono cose pericolose, perché senti TUTTA LA PRODUZIONE e non solo il suono puro) o da filmati YT…
Reply
Alberto
| #
Mi si consenta una nota (doppio senso?). E il resto della catena? Cioè: Rete 220 (ebbene sì) – Synth (qualunque) – Cavi (ebbene sì 2) – Amplificazione? Credo che come per l’ HiFi tutta la catena abbia sia importante, più o meno. La differenza tra un sound e l’ altro non dipende anche da questo? Il Phatty amplificato da un buon impianto è una cosa, infilato in un vecchio ampli in classe D a parità di casse non è il massimo. Ho provato…
Reply
Enrico Cosimi
| #
diamo per scontato che ci sia un livello qualitativo minimo, diciamo uno “standard sindacale”, lungo tutta la catena audio…
Reply
Alberto
| #
Ultima aggiunta poi non rompo più: i convertitori dei virtual e dei digitali, secondo me veri tasti dolenti. Enrico, ci ho provato: l’ OB12 ha una uscita digitale. La differenza tra il suo DAC e quello esterno (neppure High End da HiFi, è quello del Fast Track Ultra) gli cambia pesantemente il suono. Più sporco e compresso l’ originale, cristallino ed esteso il secondo. Se hai voglia, vedi il “report” su Noisecollective.
Reply
Enrico Cosimi
| #
non ho dubbi in proposito; come è facile immaginare, quando si progetta un sint che DEVE costare poco, si cerca di risparmiare dappertutto… il convertitore può essere uno di quei punti dove risparmiare 😉
Reply
Enrico Cosimi
| #
o, magari, all’epoca del progetto OB-12, il mercato non offriva componentistica di qualità superiore a prezzi accettabili
Reply
Maurizio Alvino
| #
Caro Enrico, come al solito i tuoi articoli invitano alla riflessione e, in sostanza, alla crescita della propria consapevolezza di quello che si ascolta. Senz’altro croccante e gustoso articolo!
Reply
Enrico Cosimi
| #
grazie!!!
Reply
Alberto
| #
Splendido articolo. Farei delle precisazioni,pero’: distinguere i le classi degli apparecchi tra analogici e digitali, mi spiego meglio. Negli analogici cio’ che si sente e’ l’ insieme di oscillatori,filtri etc etc, nei digitali quello che si sente e’ il suono del convertitore D/A come succede anche nell’ hifi del resto.
Reply
Enrico Cosimi
| #
è una fase successiva alla messa a punto dei problemi preliminari – del resto, dopo 10 anni dalla pubblicazione, probabilmente l’argomento si è abbastanza raffreddato…
Reply
Alberto
| #
Ho una proposta: una rubrica i tweaking? Ci andrei a nozze…
Reply
Alberto
| #
Per stare in tema: il mio Ob12 ha sulla uscita digitale un Roland da400 (antidiluviano pure lui) ma dinamico e da suono valvolare.
Reply
Alberto 2
| #
Visto che ho un omonimo mi sono battezzato Alberto 2…
Reply