Sintesi granulare 1 – Che cos’è e da dove viene questa roba

Written by Francesco Bernardini on . Posted in Software, Tutorial

“Ogni suono, così come anche le sue variazioni più continue, è assimilabile ad un insieme di un numero sufficientemente alto di particelle elementari: durante l’attacco, il sostegno e il decadimento di un suono complesso, migliaia di suoni puri appaiono in intervalli di tempi più o meno brevi” [Iannis Xenakis]

Per l’appunto, la sintesi granulare è quel processo mediante il quale viene generato un suono che è la somma di tanti altri piccoli suoni.

Di Francesco Bernardini

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Spesso ci si riferisce a questa tecnica come fosse per lo più slegata da un’osservazione concreta di un qualche fenomeno naturale di riferimento, e fosse determinata invece da valutazioni di stampo speculativo (tanto per dirla in termini pomposi ma sintetici): in altre parole, se ne parla come se si trattasse di un effetto “esotico” che agisce sul suono a mo’ di “gioco di prestigio”, e raramente si prende in considerazione l’idea che l’efficacia di questa metodologia di sintesi stia nel fatto che (come accade per gran parte delle cose) essa non faccia altro che tentare di replicare – per quanto approssimativamente – la natura più basilare di alcuni fenomeni acustici.

Per esempio: un grande pianista termina un’estenuante esecuzione integrale dei Sei piccoli pezzi per pianoforte Op.19  di Shoenberg. Il pubblico in sala, grandemente sollevato, attacca un timido applauso: dapprima un singolo battito di mani che si perde nel riverbero del teatro (un suono costituito da puro rumore, della durata effettiva – diciamo – di 15/30 millisecondi, riverberazione esclusa). Poi, preso coraggio, parte dalla galleria lo scroscio di battimani: quel singolo schioppo di prima viene riprodotto centinaia di volte, da diverse posizioni, con diversi volumi e diversi profili d’inviluppo, in un battimento continuo e randomico che crea un suono nuovo, non più catalogabile dal nostro cervello come “somma di singole mani che battono” ma come un qualcosa di unico e ben definito nell’esperienza sonora: è l’applauso, così come il nostro udito è abituato a conoscerlo, ovvero come somma di tanti singoli piccoli suoni che creano nel loro insieme qualcosa che è più – e ben diverso – della loro semplice addizione.

Questo è solo uno dei molti esempi che dimostrano come la granularizzazione del suono sia un fenomeno presente in natura, tanto quanto il riverbero o l’eco: il crepitio delle foglie secche sotto le suole delle scarpe, la pioggia sui vetri, il vociare della folla: tutti questi eventi sono riproducibili mediante il trattamento di micro-porzioni di suono che chiameremo “grani”.

 

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Un po’ di storia

Nel 1947, Dannis Gabor era molto preso dai suoi molteplici impegni di ricercatore ed inventore presso la Siemens di Berlino e la BTH Co. di Rugby. Da lì a qualche anno si sarebbe pure messo ad insegnare all’università; il suo campo d’interesse spaziava dall’ottica (nel 1948 avrebbe posto le basi per l’olografia, e nel 1971, per tali studi, avrebbe ricevuto il premio Nobel per la fisica) ai sistemi audio per le telecomunicazioni. Una mattina, giusto perchè era domenica e si stava annoiando, Gabor prese spunto dalla ricerca che andava affrontando in quest’ultimo settore e propose una teorizzazione dei fenomeni acustici del tutto innovativa. Per dirla con parole sue:

“In accordo con la teoria principalmente connessa con i nomi di Ohm ed Helmoltz, l’orecchio analizza il suono attraverso le sue componenti spettrali, e le nostre sensazioni sono costituite dalle componenti di Fourier – o, piuttosto, dai loro valori assoluti. Ma l’analisi di Fourier è una descrizione senza tempo, cioè nei termini di onde esattamente periodiche di durata infinita. Dall’altro lato, è nostra esperienza elementare che il suono possiede un insieme temporale così come un insieme frequenziale. Questa dualità delle nostre sensazioni non trova espressione nella descrizione del suono come un segnale in funzione del tempo, ne’ nella sua rappresentazione attraverso le componenti di Fourier. Si rende quindi necessaria una descrizione matematica, in modo tale che venga tenuta in considerazione tale dualità. Consideriamo ora entrambi, tempo e frequenza, come coordinate del suono, e vediamo quale significato può essere dato a tale rappresentazione” [D. Gabor – Quanti acustici e teoria dell’udito – “Nature” 1947]

In pratica: secondo l’analisi di Fourier il suono può essere visto come la somma di molteplici altre onde sinusoidali di differente frequenza ed ampiezza. La critica di Gabor è la seguente: questa teorizzazione non prende in considerazione il carattere temporale del suono, che invece è palese. Ancora più in pratica: Fourier e Gabor picchiano un tasto sull’organo Hammond e ci pensano su. Per Fourier si tratta di definire un’equazione che sia la sommatoria di tutte le funzioni d’onda sinusoidali di base che costituiscono lo spettro armonico del suono dell’Hammond – ovvero il tuo timbro. Gabor è molto più interessato al fatto che la nota suonata abbia un inizio ed una fine.

 

Una nuova prospettiva

Ora, vorrei chiarire come Gabor non avesse in realtà alcuna intenzione si inventare un nuovo sistema di sintesi per fare i soldi vendendo plug-in per iPhone, nè tantomeno pretendeva di presentare un modello teorico che potesse dire qualcosa di nuovo e che non era già stato affermato e dimostrato da Fourier e soci. La sua intuizione – da buon ingegnere – stava nella pratica: se è vero che la teoria della granularizzazione del suono non dischiude alcuna nuova porta sulla natura costitutiva del suono stesso, è altrettanto vero che essa ci può fornire una differente prospettiva da cui osservare il fenomeno. E questo può – anzi, deve – portare ad esperienze diverse rispetto a quelle già affrontate applicando Fourier.

E’ un po’ come guardare il Monte Bianco: resta sempre il Monte Bianco, ma cambia – e parecchio – se lo guardo da Courmayeur o da Chamonix o dalla Aguille du Midi da 3418 metri di altezza. Entra qui in gioco la psicoacustica, ovvero non tanto lo studio del suono in sè quanto delle relazioni che intercorrono tra suono ed ascoltatore. Un larsen di chitarra elettrica può non essere tanto interessante dal punto di vista acustico (è un fischio continuo), ma ha un impatto enorme se consideriamo il suo effetto su di un potenziale ascoltatore: vai a spiegargli che non è niente di che, mentre quello scappa a gambe levate con le mani sulle orecchie.
C’è ora da considerare in concreto come attuare questo radicale cambio di prospettiva, ovvero come arrivare a racchiudere il suono in piccolissime celle (assimilabili a ciò che in fisica viene definito “quanto”) per poterne infine dare una reinterpretazione che prenda in considerazione tanto l’analisi di Fourier quanto la necessità di quantizzare (per l’appunto) il suono da un punto di vista temporale.

Qui, forte del suo background nel campo della fisica ottica, Gabor ha un colpo di genio e decide di applicare al suono la stessa teorizzazione matematico/formale usata per descrivere la luce (ovvero la sua “doppia natura” corpuscolare/ondulatoria), e si rifà – di nuovo – alla teoria dei quanti:

“I fenomeni acustici sono qui discussi attraverso metodi matematici strettamente relati a quelli della teoria quantistica. Mentre in fisica acustica da un nuovo approccio formale ai vecchi problemi non ci si può attendere di scoprire più di quanto non sia già noto, la posizione per l’acustica soggettiva (psicoacustica) è piuttosto differente; infatti, i nuovi metodi hanno già provato i loro valori euristici e ci si può aspettare di fare più luce sulla teoria dell’ascolto. Nel mio scritto originale il punto di vista era principalmente quello dell’ingegneria delle comunicazioni; nell’indagine seguente ho enfatizzato quelle caratteristiche che possono essere d’interesse per i fisici e gli psicologi. Cosa ascoltiamo noi? La risposta classica dei libri di testo e’ tale che da pochi studenti, se mai ve ne sono, può essere stata mai accettata senza un grano di sale” [D. Gabor – Quanti acustici e teoria dell’udito – “Nature” 1947]

In pratica si tratta di guardare al suono tanto quanto Fourier, ma da un punto di vista differente. Prendiamo in considerazione il ciclo di una sinusoide buttato fuori da un oscillatore: tale onda si ripeterà uguale nel tempo e se campioniamo una porzione di audio breve quanto il ciclo dell’onda stessa, e replichiamo il campione per un numero di volte sufficiente a creare una continuità percettiva nell’ascoltatore, otterremo (in teoria) lo stesso segnale proveniente dall’oscillatore, ma espresso in forma granulare. Bella roba, verrebbe da dire, ma questo “spezzettamento” del suono – che all’apparenza è un inutile accrocchio – ci può fornire inattese prospettive acustiche non appena prendiamo atto della possibilità (per ora solo teorica) di controllare alcuni aspetti della resintesi di ogni singolo grano sonoro. Da questo punto di vista un segnale di tipo “noise”, che di per sè restituisce (Fourianamente parlando) una potenza randomicamente distribuita nel dominio della frequenza, da un punto di vista granulare non è altro che una massa di click di durata infinitesimale – e dall’inviluppo “a campana” – che si susseguono, sempre a potenza randomica, ma nel dominio del tempo, analogamente alle minuscole goccioline di vernice che vengono espulse da una bomboletta spray.

 

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Torniamo alla storia: data la loro sostanziale inutilità pratica (nonostante un prototipo di granularizzatore fosse stato realizzato dallo stesso Gabor, basato su una complessa circuitazione ibrida che prevedeva l’utilizzo di trasduttori ottici) gli scritti di Dannis sulla teoria granulare del suono ebbero meno successo dei film di Derek Jarman. Tuttavia, uno strampalato tizio greco mezzo architetto, mezzo ingegnere, mezzo musicista e mezzo ciecato, che fino a quel momento era stato ossessionato dall’idea che non solo il suono, ma la musica stessa, fosse teorizzabile come un susseguirsi di “nuvole” sonore, si interessò fortemente agli scritti di Gabor.

 

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Fino a quel momento, infatti, Iannis Xenakis aveva avuto in mente l’idea di far musica non più non più tramite singole note o accordi o armonie varie, ma mediante l’uso di “masse sonore” che – adeguatamente controllate per mezzo della partitura – avrebbero creato contrasti, modulazioni e tutto quel “paesaggio” sonoro che – secondo lui – era alla base dell’esperienza musicale.
E’ interessante notare come il paradigma della sintesi granulare (ovvero la ripartizone e la ripetizione) possa essere applicato senza problemi di sorta, macroscopicamente, anche al concetto di musica stessa: credo che questa rappresenti una cifra fondamentale nella ricerca di Xenakis, il quale, nel trattato del 1971 intitolato “Formalized Music: Thought and Mathematics in Composition” fornisce un excursus fondamentale della sua concezione del rapporto tra matematica e musica. In questo testo, il compositore greco concretizza le ricerche di Gabor da un punto di vista musicale: fornisce un esempio di “cluster” sonoro e formalizza il “grano” nelle sue caratteristiche fondamentali: ampiezza, durata, spettro, inviluppo etc… – ma non si ferma qui: il concetto viene espanso alla composizione tutta, per cui grandi formazioni strumentali possono eseguire “grani” acustici fino a formare l’effetto “cluster”, nonchè la possibilità di modulare queste sonorità mediante formulazioni di stampo stocastico/markoviano etc. etc…
Nel brano “Analogique”, per esempio, si alternano formulazioni di stampo granulare che provengono via via da strumenti acustici quali viole, violini etc… quanto da nastri che Xenakis mise assieme incollando piccolissimi pezzi di pellicola contenenti i singoli “grani” audio presi da registrazioni degli strumenti stessi.

La tecnica, è ovvio, era complessa e tagliava fuori chiunque non avesse voglia di mettere in gioco la propria reputazione – e la propria sanità mentale – mettendosi a tagliuzzare pezzi di costoso nastro magnetico per poi reincollarli uno appresso all’altro.

Passarono gli anni; Xenakis continuò i suoi esperimenti e una domenica mattina, siccome si annoiava, si mise a far causa a Gabor per chi aveva brevettato cosa sulla sintesi granulare. Ma nel frattempo la tecnologia andava avanti e quello che Xenakis faceva tagliuzzando nastri ora si poteva sperimentare programmando un calcolatore.

 

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Un famoso nerd dell’epoca, Curtis Roads, progettò nel 1974 un sistema innovativo che era in grado di produrre un minuto di audio – granularizzato da un banco di oscillatori e un banco di filtri – in meno di una settimana di computazione. Una latenza un tantino inaccettabile, d’accordo, ma il sasso era lanciato.

 

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Nel 1986, Barry Truax venne colpito da un fulmine mentre cercava di riscaldare delle pizzette nel microonde e riuscì così a produrre la sintesi granulare in tempo reale: un breve campione audio viene spezzettato in microscopici quanti sonori, i quali vengono poi riprodotti in modo “controllato” variandone di volta in volta densità, spazializzazione, inviluppo etc…

Con il crescere esponenziale della potenza di calcolo a nostra disposizione, da quel lontano 1986 la sintesi granulare (così come tutto il resto della tecnologia) ha fatto passi da gigante, mutando da concezione matematica astratta in filosofia compositiva, fino a divenire (anche) una tecnica di sintesi sonora comunemente utilizzata e disponibile ormai anche su normali personal computer. Un famoso sintetizzatore software che comprende in parte la tecnica di sintesi granulare è il buon vecchio Malström, che veniva fornito in Reason di Propellerheads: questo synth usa la granularizzazione del suono in ciò che gli autori definiscono “graintable synthesis”, ovvero una metodologia di sintesi ibrida tra la normale sintesi digitale basata su wavetables e la sintesi granulare. All’utente viene fornita tanto la possibiltà di giocare con i controlli classici (filtri, inviluppi, LFO etc…) quanto, per esempio, con un indice che ci permette di selezionare “quanto” grano utilizzare nella resintesi, ottenendo in questo modo nuove ed interessanti prospettive sonore.

Al giorno d’oggi, comunque, su internet non mancano alternative anche gratuite: per iniziare a prendere dimestichezza con questa tecnica e con i (molti) tipi di suono che si possono cavare da un sintetizzatore granulare, possiamo iniziare a giocare con qualche software gratuito reperibile qui.

Dopo questa breve introduzione storico/teorica alla sintesi granulare affronteremo l’argomento più in dettaglio da un punto di vista tecnico/pratico, descrivendo i principali parametri che governano la granularizzazione audio.
Alla prossima puntata!

 

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Comments (7)

  • Antonio Antetomaso

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    Ciao Francesco,

    ti faccio i miei complimenti per quest’articolo e, in anticipo, per quelli che verranno in materia. Era da tempo che desideravo approfondire questa tecnica di sintesi. Ti ringrazio.

    Non vedo l’ora di leggere il seguito.
    A presto.

    Reply

  • Max

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    Mi associo. Complimenti e grazie per questo articolo.

    Reply

  • frabb

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    grazie a tutti, e io ringrazio Enrico per aver reperito delle foto adeguate: tenete presente lo schemino dell’ikea che mostra il prototipo di Gabor, ne riparleremo presto :) :)

    Reply

  • Andrea Baggio

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    Complimenti vivissimi, un articolo esauriente e chiarissimo su un argomento per niente facile da riassumere con tanta piacevolezza

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  • Andrea Nicaretta

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    Ottimo articolo. Introduzione al tema molto piacevole e stimolante .

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  • Marco

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    Articolo a dir poco stupendo

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