Quattro chiacchiere sul suono analogico – terza parte

Written by Enrico Cosimi on . Posted in Tutorial

Il segnale in uscita al microfono, così come si trova è semplicemente troppo basso per poter essere preso in considerazione dagli stadi successivi di trattamento del suono; per ovviare a questo inconveniente, è necessario ingrandirlo sottoponendolo ad una moltiplicazione che è, di fatto, riconducibile ad uno stadio di preamplificazione. La preamplificazione per moltiplicazione di livello è presupponibilmente eseguita senza alterare drasticamente le caratteristiche interne del segnale di partenza.

Di Enrico Cosimi

Schermata 11-2456617 alle 15.11.44

E’ possibile semplificare il funzionamento di un amplificatore, e quindi di un preamplificatore, limitando i concetti necessari alla presenza di un segnale in ingresso che venga moltiplicato per un segnale di controllo. Quest’ultimo può essere il normale Gain presente sul pannello comandi di un amplificatore Hi-Fi o un ingresso per CV esterno come in un qualsiasi sintetizzatore. Quando la moltiplicazione dell’ingresso avviene per un segnale esterno di valore pari a zero, anche il segnale di uscita sarà pari a zero. Se la moltiplicazione avviene per un valore pari a uno, il segnale in uscita avrà livello identico al segnale in entrata e si parlerà di unity-gain amplifier. Se il segnale viene moltiplicato * 2, l’uscita del (pre)amplificatore risulterà più elevata rispetto al segnale in ingresso.

Preamplificatori e preamplificatori

Anche se l’audio e l’hi-fi esoterico prevedono l’adozione di componentistica dal prezzo stratosferico, nella normale pratica di composizione elettronica (e di acquisizione di segnali esterni) la preamplificazione del segnale microfonico può essere affidata con fiducia direttamente ai circuiti presenti all’interno di un normale mixer dotato di ingressi XLR microfonici.

I parametri significativi del preamplificatore sono ovviamente limitati al fattore di guadagno applicato al livello originale: in base alle soluzioni costruttive, sarà possibile ingigantire il segnale passante fino a fargli raggiungere una consistenza di linea tale da garantirne la corretta trasmissione agli stadi successivi di trattamento audio.

In un preamplificatore standard, come accennato in precedenza, l’unico controllo disponibile è quello relativo al coefficiente per cui si moltiplica il livello del segnale passante; nel caso di circuitazioni più qualitative, possibilmente autonome dal punto di vista funzionale, non è raro riscontrare un corredo di controlli più completo, che può comprendere:

  • selezione dell’impedenza di ingresso
  • guadagno sul segnale da preamplificare
  • inversione di polarità sul segnale in ingresso
  • filtro passa alto con frequenza di taglio non modificabile
  • alimentazione phantom +48V
  • rise time (velocità espressa in volt per millisecondo) del circuito
  • standby (nel caso di circuitazione valvolare)

Lo stadio di equalizzazione fissa, ovvero il filtro passa alto incorporato è concepito non tanto per interventi creativi, quanto per eliminare alla radice componenti timbriche indesiderabili: vibrazioni a bassa frequenza trasmesse dalle tavole del palco all’asto microfonica, turbolenze dell’aria negli impianti di condizionamento, vibrazioni sporadiche dovute al traffico automobilistico, eccetera.

Ovviamente, non è necessario che un preamplificatore – anche se di buona qualità – offra tutti i controlli sopra elencati; una dotazione standard, comunque sufficiente per un utilizzo di carattere professionale, potrà comprendere:

  • input gain
  • inversione di fase
  • filtro passa alto fisso a 50 Hz
  • output gain
  • alimentazione phantom +48V

Schermata 11-2456617 alle 15.13.43

L’apparecchio sopra raffigurato è il classico Tony Larking Audio TLA PA-3001 PreAmp, in grado di gestire quattro microfoni indipendenti simultaneamente.

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Comments (28)

  • Ciro Urselli

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    Buongiorno Maestro, mi permetta di osservare ma il termine “moltiplicazione” potrebbe essere non tanto corretto in quanto si potrebbe confondere con il concetto di “moltiplicatore analogico” che come lei ben sa è un circuito elettrico con un’uscita che è proporzionale al prodotto di due ingressi. Nel caso del concetto di pre/amplificazione pura il cosiddetto “gain” (a meno che non sia un vca) nel 99% dei casi è un semplice potenziometro messo a monte (al massimo a valle in alcuni casi particolari) nel circuito di pre/amp. Saluti

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    • Enrico Cosimi

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      purtroppo, di moltiplicatore si tratta, nel senso che un amplificatore scala, espande o contrae l’ampiezza di un segnale bipolare passante in base al valore unipolare ricevuto alla sua porta di controllo

      la descrizione migliore è A x B, dove A è compresa tra +/-1 e B è compresa tra 0 e 1

      diverso è il discorso in alcuni linguaggi di programmazione, ad esempio Reaktor, nei quali diventa necessario inserire un rettificatore sull’ingresso “B” di moltiplicazione, in modo da sbilanciarne il comportamento e riportare il normale funzionamento del moltiplicatore matematico all’andamento sbilanciato del circuito analogico.

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  • Emiliano Girolami

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    Mi inserisco nella conversazione solo per dire che, nella teoria dei segnali, capita spesso di considerare anche la risposta all’impulso di un sistema come un segnale (basti pensare alla convoluzione). In questa ottica il discorso di Enrico è corretto anche formalmente. Per tornare al tuo esempio di moltiplicatore analogico se consideri costante uno dei due fattori ottieni proprio un amplificatore. Ciao, Emiliano

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  • Marco

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    Buongiorno, domanda delle cento pistole: quale preamplificatore sarebbe più adatto per registrare un synth?

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      • Marco

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  • Alberto

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    Domanda da un milione di dollari: quanto la catena di amplificazione influisce sul suono di un synth? Da esperimenti fatti ritengo che sia importante (e qui mi sa che scateno un pandemonio) quanto il synth… La differenza tra un pre a valvole e uno a transistor, come la differenza tra un ampli valvolare e uno in classe D è evidente, come è cruciale la componentistica DAC dei virtual analog. Cioè credo che la catena synth-pre (o mixer)-ampli-casse sia un tutt’ uno. O no? :-)

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    • Enrico Cosimi

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      secondo me, no; nel senso che, perlomeno nella pratica quotidiana, i sint, e gli strumenti “di linea” in genere, entrano diretti nel mixer senza che sia necessario preamplificarli; diverso è il discorso per:

      – gli strumenti elettroacustici tipo rhodes o clavinet, che hanno necessità di preamplificazione alla stessa stregua di una chitarra elettrica
      – le funzioni di equalizzazione offerte da una channel strip quale che essa sia; fatto salvo il livello audio (che è già bello e pronto in uscita dal sint), è chiaro che si può sfruttare creativamente la timbrica valvolare, gli stadi parametrici, le compressioni e tutto il resto del luna park

      ma da questo a dire che sono indispensabili, ho il sospetto che ce ne corra veramente tanto… 😉

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  • Alberto

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    Vero… Ma io intendevo il suono del synth in “flat”, diciamo così… Cerco di spiegarmi: l’ uscita audio di un synth, o di un qualsiasi strumento elettronico, è una tensione. Da ciò, l’ “aggeggio” più naturale per preamplificare (o per interfacciare) lo strumento è una valvola. Per pilotare un altoparlante ci vuole corrente, quindi vai di transistor etcetc. così come varia il suono mettendo un DAC esterno sui synth dotati di uscita digitale. Ma forse è un discorso sul sesso degli angeli… :-)

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    • Enrico Cosimi

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      ma l’intero discorso cade di fronte alla gratuità della preamplificazione: se non è necessario preamplificare un livello che è già di linea, tutto il resto della costruzione logica cade e si riduce a pura scelta “timbrica” :-)

      ovvero: se non è necessario preamplificare o ri-livellare un segnale, passare il medesimo segnale per una valvola, uno stadio in classe A, A/B, D o quello che è, diventa superfluo SE NON per gli interventi di carattere timbrico… ma, a quel punto, stiamo parlando di equalizzazione 😉

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  • Emiliano Girolami

    |

    A volte, specie per i synth digitali/virtual analog si usa un pre (ingresso line o DI) con grossa personalità per scaldare il suono. Esempi tipici sono Neve 1073, Chandler Germanium, API 512, UA610. In generale funzionzionano tutti i pre che hanno trasformatori e/o valvole. In sostanza viene introdotta una lieve distorsione armonica unita alla imprevedibilità della struttura analogica del pre. Sulla effettiva necessità di questa operazione (intesa come contributo al messaggio musicale che si vuole veicolare… se ne può parlare). Ciao, e

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    • Attilio De Simone

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      Non comprendo una cosa: se devo spendere tra i 900 € e i 1300 € (questa è la forbice di prezzo dei pre che hai citato) più altri 1000 € (facciamo un prezzo non elevato, tra synth VA e digitali che costano tra i 500 € e i 2000 €) per riscaldare il suono del VA o digitale tramite un pre valvolare, non faccio prima a prendere un synth analogico? Anche un MS20 mini full analog costa pochissimo (ma suona tantissimo). Se devo acquistare un strumento e poi un pre per riscaldare il suono di quello strumento per ottenere il calore di un terzo strumento che potrei prendere per lo stesso prezzo o un prezzo inferiore, ritengo che il gioco non valga assolutamente la candela. Discorso a parte merita il caso di quelli che comprano un digitale o un va perchè innamorati di quel suono, ma se ne sono innamorati penso che se lo vogliano tenere così come esce, cioè senza pre.

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      • mirko

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        E’ molto semplice da capire: unisco la flessibilità dei virtual instrument al calore e alla distorsione armonica dei pre. Tipo un Reaktor (magari usato come effetto) con un bel Heritage 1076!

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        • Attilio De Simone

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          In verità dove volevi arrivare l’ho capito, ma non ne vedo l’utilità. Come ho già scritto, fatta un’analisi costi benefici, se voglio ottenere un suono di un certo tipo, vado direttamente sulle apparecchiature analogiche visto che attualmente i prezzi sono scesi tantissimo e il mercato è ricco di prodotti analogici di qualità ad un prezzo contenuto.
          Secondo me il gioco (costi) non vale la candela.
          Computer (700-800 €) + Scheda audio di qualità (500-700 € per avere una scheda che garantisca convertitori di qualità, visto che vuoi lavorare con un pre di qualità non puoi permetterti di fare entrare un suono che esce da una scheda non di qualità) + Reaktor 200 € (attualmente scontato altrimenti 399 €) + pre 900-1300 €. Arriviamo ad un prezzo compreso tra 2.300 € e 3.200 €. Onestamente con quei soldi prendo direttamente dei prodotti analogici se voglio un suono con un certo colore.

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  • synthy

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    specifichiamo che in ogni caso lo strumento, analogico o digitale che sia, passa sempre in un pre perchè il suo segnale non riesce a pilotare un finale ed in ogni mixer lo stadio d’ingresso è un pre.
    poi per avere un determinato colore o nessun colore si usano pre dedicati come elencato da Emiliano, così il suono che ne esce ricorda certe timbriche che il musicista o il produttore vuole far sentire, una specie d’imprinting (di massima per il rock si è sempre usato un banco SSl-G e per il blues-r’n’b e gospel un NEVE con i 1073 o 1081 per esempio).
    e comunque non puoi scaldare quello che non c’è (qui il discorso diventa lungo e coplesso, ma accettiamo l’idea comune che la valvola o il trasformatore scaldano aggiungendo una certa quota di distorsione quindi di armoniche), se il segnale arriva da una unità digitale migliori sono i suoi convertitori migliore è il “calore” del suono: purtroppo la maggior parte internamente lavorano a 44.1 o 48 KHz quindi non si può proprio parlare di battimentio tra le armoniche 8 o 9 di un LA 8 perchè siamo già a oltre 100 KHz e il discorso del calore perde spessore, ma tantè.

    in realtà volevo fare un appunto al caro amico e maestro Enrico tau ceti: è errato dire che un pre ha un invertitore di fase perchè, come direbbe incazzandosi quel toscanaccio di Arturo Pacini, di quale fase parli? un segnale ne ha tante quante sono le frequenze che lo compongono quindi quale vuoi invertire? è un falso ideologico che i depliants ci mettono in testa: è un segnale elettrico e noi col pulsantino invertiamo la POLARITA’ che indubbiamente comprende tutte le fasi in tutte le loro angolazioni, ma resta il fatto che si inverte la polarità.
    yuk yuk

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    • Enrico Cosimi

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      con buona pace del toscanaccio pacini (che non so chi sia) e di synthi glauco camporini chuck nonnis, il comando si chiama phase inversion e AGISCE sulla fase del segnale

      è altrettanto ovvio – lo stesso pacini (che continuo a ignorare chi sia) – avrebbe ritenuto inutile mettere 20.000 interruttori di inversione, uno per hertz e quindi è abbastanza ovvio – ma non per pacini e i suoi seguaci – che la scelta terminologica è dettata dalla consuetudine e la consuetudine è giustificata dalla chiarezza espositiva necessaria alla manualistica

      ma, come pacini e i suoi seguaci ci insegnano, certe volte la chiarezza è considerata alla stregua della lana caprina e diventa necessario esercitarsi nella nobile arte della tomografia applicata ai bulbi piliferi

      😉

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      • synthy

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        giusto Enrico è una terminiologia dettata dalla consuetudine ma il comando agisce sulla polarità e non sulla singola fase, il che vuol dire agire su tutte le fasi senza però sapere nè stare a domandarsi in che posizione del ciclo siano sigolarmente; ripeto, e questa è alettrotecnica, agisco su un segnale elettrico e quindi ne inverto la polarità.
        (Arturo Pacini, fonico di decennale esperienza, docente di seminari lezioni e quant’altro sull’audio pro)

        Reply

        • Enrico Cosimi

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          ti risulta che nel testo si faccia riferimento all’inversione della singola fase? è pacini, per tua interposta persona, ad aver sollevato l’argomento…

          :-)

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          • synthy

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            tutto quello che dici va bene, ma intendevo far notare, e mi aspettavo un riscontro positivo da te che sei abituato a sottolineare e correggere i luoghi comuni, che è un errore ideologico usare il termine “inversione di fase”, niente di più.

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    • Attilio De Simone

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      Che tutti gli strumenti debbano finire all’interno di un pre è un fatto logico. Quello che continua a non tornarmi è perchè dovrei spendere un sacco di soldi per un synth digitale/VA e un pre di una qualità elevata per cercare di ottenere un calore analogico, quando questo calore lo posso ottenere a costo similare da apparecchiature analogiche? visti i livelli dei prezzi, credo che ormai usare uno strumento digitale/VA per emulare un analogico e poi riscaldarlo per avvicinarsi al suono dell’analogico? Questa cosa aveva un senso qualche anno fa, quando o andavi sul digitale o dovevi spendere molto ma molto di più per acquistare apparecchiature analogiche, ma ormai, ai costi attuali dell’analogico come costi siamo lì. Secondo me attualmente bisogna prendere il digitale per quello che di buono ha e l’analogico per quello che di buono ha senza cercare di ottenere cose che non possono offrire.

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      • silvanoaudisio

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        In realtà, a mio modesto avviso, resterebbero da fare alcune considerazioni sulla flessibilità delle due opzioni: è vero che oggi sono disponibili macchine analogiche di qualità a buon mercato, ma è anche vero che spesso sono limitate da scelte commerciali non adatte per tutti gli utilizzi (monofonia, assenza di memoria per i preset, integrazione midi/CC non sempre completa, etc)… cose che nel mondo digitale sono a dir poco scontate.
        Inoltre, una volta scelta la macchina analogica di nostro gusto, le sue possibilità resteranno per sempre legate alle scelte progettuali di chi l’ha realizzata e per poter disporre di funzioni/suoni diversi dovremmo per forza di cosa mettere mano al portafoglio per una nuova attrezzatura. Invece un’ipotesi che comprenda Reaktor/un buon pre/un buon AD/DA racchiude una quantità di possibilità difficili da perlustrare in un’intera vita… Io personalmente ho risolto questo dilemma affidandomi da anni ad una struttura modulare Eurorack… ma se parliamo di prezzi in confronto al digitale…. beh non fatemici pensare!

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      • Emiliano Girolami

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        Anche secondo me spendere tutti quei soldi solo per processare il synth ha poco senso. Di solito uno compra il preamp per registrare/amplificare voce e strumenti (che è il motivo per cui esistono i pre) e poi, visto che è in studio (e ammesso che abbia senso per tutte le considerazioni che avete fatto sopra) ci fa passare dentro anche il virtual analog. Rimane il fatto che, per come la vedo io, è la qualità della performance musicale a determinare per prima la riuscita del prodotto.

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        • Attilio De Simone

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          Concordo, alla fine nell’ambito di una registrazione studio all’interno di un mix o di una performance live che esce semmai da dei monitor non di altissima qualità, si tratta davvero di dettagli. Alla fine a contare davvero è il calore della musica.

          Reply

  • Alberto

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    Discorso sentito: “Sì, ha un suono ottimo, ma non è polifonico… Niente accordi.”. :-) Eccolo il casino, gli esseri umani. :-) Poi mi permetto di dissentire con synthi: le uscite di uno strumento elettronico possono benissimo mandare in clipping un finale. Ho visto uscite di synth arrivare a 4 volt sull’ oscilloscopio, per poi essere infilate in un mixer che addirittura ATTENUAVA la suddetta tensione. Per essere puntigliosi, il finale saturava con 1 volt in ingresso, per cui…

    Reply

    • synthy

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      un finale che clippa con 1 V è tarato a -10dBV (=0,316 V), come le apparecchiature consumer e semi-pro.
      normalmente gli impianti hanno finali tarati a +4dBU (=1,228 V).

      hai perfettamente ragione, una volta le apparecchiature analogiche buttavano fuori tanti volt, tra i più potenti il caro vecchio minimoog, ma attualmente sono tutte allineate agli standard e di solito le tastiere escono a -10 dBV per quello che ho potuto notare.
      questo non impedisce di pilotare un potente finale a +4 dBU ma il volume che otterremo non sarà prorio spaccatimpani.

      Reply

  • chrisfaux

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    Scusate l’intromissione, secondo me ci si stà “intortando” (come si dice a casa mia 😀 ) in una serie di specifiche, e di pratiche troppo “burocratiche”.
    Sono pienamente d’accordo con Enrico e Silvanoaudisio

    1. Se compro un Virtual Analog non lo compro solo perché emula il suono di un analogico ma semplicemente perché ha le caratteristiche e/o le specifiche adatte ai miei scopi artistici/personali/professionali.

    2. Nessuno ti obbliga ad usare un Pre. Oggi nel 90% di produzioni digitali non si usano Pre a Valvole. I VA Hardware in genere sono cmq dotati di preamplificazione “lineare” interna, audio normalizzato e scheda audio integrata.

    3. Se si parla di synth completamente digitali come vst io non li paragonerei nemmeno, non perché l’analogico è meglio o peggio, ma perché se compro un synth digitale molto probabilmente non cerco il suono analogico ma tutta un altra serie di caratteristiche e/o specifiche che ora non sto ad elencare.

    Ormai sono due mondi separati ad es:
    non si può paragonare la sintesi sottrattiva analogica con quella a modelli fisici di vst come Reaktor Prism perché entrambe nascono e si sviluppano per scopi totalmente diversi.

    Tornando al discorso iniziale, aggiungere un pre al segnale analogico si basa solo su una scelta puramente timbrica/artistica/personale. (come ha già detto Enrico 😉 )

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