Modulare vs. polifonia: le brutte sorprese

Written by Enrico Cosimi on . Posted in Tutorial

La volta scorsa, avevamo introdotto l’argomento concentrandoci sulla differenza tra polifonia come capcità di generare simultaneamente eventi diversi e polifonia come capacità di generare più voci unificate per timbro e comportamento. Sempre la volta scorsa, avevamo segnalato come solo la presenza simultanea di diversi VCA possa definire – a priori – la quantità simultanea di eventi generabili, articolabili e (in ultima analisi) controllabili a discrezione dell’utente. Adesso, è il caso di scendere in dettaglio.

Di Enrico Cosimi

Perchè il VCA è così importante nella catena di sintesi? Perchè la sua presenza o meno rende un sistema articolabile o, in alternativa, utilizzabile solo per produrre determinati tipi di eventi sonori?

 

E’ presto detto: nell’accezione più semplice, l’amplificatore moltiplica il segnale audio passante per l’inviluppo che ne controlla l’ampiezza; in questo modo, diventa possibile definire quando e per quanto tempo un evento sonoro debba apparire nel mixaggio finale. In mancanza di un amplificatore, diventa impossibile gestire correttamente l’articolazione del segnale a meno di non rassegnarsi alla sua persistenza ininterrotta (provare per credere…).

Quali sono i moduli indispensabili per articolare una percorso/voce di sintesi? Sicuramente, una sorgente sonora, un filtro, un amplificatore e un generatore d’inviluppo; questa dotazione, apparentemente spartana e limitata, è spartana e limitata, ma ha garantito – in una miriade di strumenti commerciali – il giusto rapporto tra prestazioni e prezzo; basterebbe pensare al vecchio KORG MS-10.

All’interno di una struttura così configurata, adatta a produrre una singola voce, i compiti sono facilmente identificabili:

  • l’oscillatore produce la forma d’onda desiderata, cioè il timbro di base da cui partire per le varie avventure sottrattive; attraverso il controllo di frequenza, si definisce l’intonazione di base che successivamente sarà modificata attraverso la tastiera;
  • il filtro elimina le armoniche indesiderate, sagomando il segnale in base alle proprie esigenze e – ovviamente – al modo operativo che è stato selezionato;
  • l’amplificatore articola il suono portandolo al livello richiesto e, tramite inviluppo, defininendone durata e andamento;
  • lo stesso generatore d’inviluppo usato per controllare l’amplificatore agisce – questa volta, attraverso un amount regolabile – l’automazione del filtro, permettendo di variare il contenuto armonico durante l’emissione della nota stessa.

Se ci pensate un momento, questa struttura invero minima è molto vicina a quanto ottenibile con diversi apparecchi Roland SH Series o altri monofonici d’annata; in più, in alcuni casi, c’è solo la possibilità di modulare a bassa frequenza intonazione e/o filtro, ma per il resto, il gioco è sempre quello.

A questo punto, proviamo a convertire in moduli la struttura minimale identificata finora come “la nostra voce”; in questo modo, è possibile iniziare a prevedere un ingombro e un prezzo di massima. Se decidiamo di lavorare all’interno dello standard Euro Rack, magari limitandoci ai classici, basici, moduli Doepfer, ecco che la struttura inizia ad assomigliare a quella riprodotta nell’immagine qui sopra. Ora, è il momento di dare risposta all’angosciosa domanda: di quante voci ho bisogno?

Supponiamo che quattro voci “semplici” possano andare bene per il nostro sistema pervicacemente polifonico modulare; premesso – lo stiamo ripetendo da ore – che l’ìntera operazione confina con la follia (per fare la polifonia, meglio usare i sintetizzatori polifonici, e basta…), ecco che tutto quello che abbiamo previsto all’interno della singola voce deve essere moltiplicato per il numero delle voci richieste.

In un colpo solo, ci troviamo a fare i conti con quattro oscillatori, quattro filtri, quattro amplificatori, quattro inviluppi… Ma siamo sicuri che un solo inviluppo sia sufficiente a garantirci la flessibilità necessaria? Perchè non aspirare al doppio inviluppo, rendendo così indipendente la possibilità di aprire il filtro rispetto all’amplificatore? Basta pagare, e il gioco è fatto…

Se il doppio inviluppo è entrato nei vostri cuori, non dovrete fare altro che aggiornare il conto dei moduli necessari, per scoprire che ogni singolo passo del canale di voce corrisponde a una spesa significativa nella struttura finale dello strumento. Dura lex…

Continuiamo a filosofeggiare, mentre il tassametro dei moduli corre vorticosamente. Se volessimo portare a sei voci il nostro strumento, pur tenendolo al minimo delle possibilità, ecco che l’insieme occuperebbe uno spazio imponente, come nel sistema riprodotto qui sopra. Ancora una volta, ricordiamo che tutta questa massa di materiale, all’atto pratico, risulta meno potente del più banale Juno 60 (per di più privo di chorus, di doppio filtro, di suboscillatore e di modulazioni).

Vale la pena?

E ancora, facendo riferimento all’illustrazione qui sopra: cosa succederebbe in termini d’ingombro e di prezzo se ogni voce dovesse essere un minimo articolata come funzioni e circuitazione? Siamo ancora convinti che la polifonia debba essere raggiunta con il sistema modulare?

Di fondo, l’unico modo per non diventare prematuramente poveri e avere polifonia modulare è riprodotto qui sotto…

O ancora più sotto…

Baciamo le mani.

 

 

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Comments (15)

  • Riccardo Galatolo

    |

    il grande e indimenticabile Nord Modular G2…
    a quando il G3???
    dannati svedesi… 😀 😀 😀

    Reply

  • Kindon

    |

    Pronto all’umiliazione pubblica, faccio una domanda da primate protopaleolitico:

    se i 4 oscillatori vengono convogliati nel medesimo filtro e poi nel medesimo vca, che riceve il gate da un unico adsr, non si ottiene qualcosa di vagamente polifonico (o parafonico)?

    K

    Reply

    • Enrico Cosimi

      |

      non è affatto una domanda sciocca… 😉
      se mandi quattro o più oscillatori, dei quali sei in grado di specificare individualmente l’intonazione (cioè sei in grado di prendere accordi sulla tastiera), dentro allo strsso filtro, poi nello stesso vca, e tutti e due sono sotto controllo di una coppia d’inviluppi, hai una condizione simile a quello che c’era – per dire – nel vecchio ARP Omni. Cioè un bel problema, perchè (attenzione…):
      – suoni Do e lo strumento esegue Do;
      – tieni premuto Do e suoni Mi; lo strumento esegue un bicordo Do-MI
      – tieni premuto il bicordo Do-Mi e premi Sol; lo strumento esegue una triade Do-Mi-Sol
      – tieni premuta la triade Do-Mi-Sol e premi il Do all’ottava sopra; lo strumento esegue l’accordo Do-Mi-Sol-Do

      fino a qui, la condizione può essere tollerabile (se ci pensi, è come funziona il polysinth usato su “The Model” dei Kraftwerk…), il problema è che se dopo aver suonato il quadricordo di cui sopra, premi Fa#, lo strumento esegue Do-Mi-Fa#-Sol. E questo NON è bello. :-)

      Purtroppo, per prendere gli accordi con lo strumento e mantenere l’indipendenza delle voci, ogni voce deve essere INDIPENDENTE e COMPLETA a livello circuitale, altrimenti ti trovi con “The Model”…

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      • Kindon

        |

        Grazie davvero per la spiegazione.
        Erano mesi che cercavo di capire questa cosa almeno a livello teorico.
        Il “discorso del Fa#” ha finalmente diradato le nebbie.

        K

        Reply

          • Gigi Pitossi

            |

            É la seconda volta che lo rileggo, ma ancora non ho capito la storia del Fa#. Mi sento stupido. Aiutatemi.

            Reply

          • Enrico Cosimi

            |

            in condizione “parafonica”, hai indipendenza di intonazione, ma non di articolazione… in pratica, puoi intonare le note dalla tastiera, ma ogni volta che schiacci un tasto, l’unico inviluppo di articolazione ti fa “risuonare insieme” tutti gli oscillatori precedentemente intonati

            Reply

  • Keg

    |

    Ottimo articolo, molto chiaro ed esaustivo as usual.
    E sempre maledetti clavii per la loro scellerata scelta di non produrre più il modular.

    Reply

  • Dropout

    |

    Secondo la mia personale esperienza, qui manca un’alternativa polifonica (ma non solo) al modulare classico fisico che non dovrebbe mai mancare in lista: Sonic|Core Modular II/III/IV e Flexor.
    Confrontato con il più noto Nord Modular e quanto elencato sotto, ecco, in gergo… gli da ampiamente “paglia”.
    Ma alla fine l’articolo non vuole porre confronti o gare, che spesso lasciano il tempo che trovano, ritengo invece che il tale sistema, per quanto per le versioni DSP in bus PCI siano un po’ datate, sia veramente eccezionale.
    Comunque da provare con serietà e approfondimento.

    Reply

    • Dropout

      |

      dimenticavo: sistema che si interfaccia ottimamente e in modo diretto (trig, gate, midi, audio, ecc.) con il modulare fisico. Quindi anche solo per generare i VCO polifonici da poi inviare al sistema analogico per il filtraggio e quant’altro.

      Reply

    • Enrico Cosimi

      |

      il problema è che è un sistema talmente proprietario e (se non sbaglio) anche singola piattaforma… insomma, più periferico di così si muore :-)

      è un vero peccato

      Reply

      • Dropout

        |

        Guarda, Enrico, è vero, per ora gira su Windows XP/Vista/seven/8 ma con l’imminente sistema operativo 6, chiamato Open Scope [ [ http://sonic-core.net/joomla.soniccore/index.php?option=com_content&view=article&id=369&Itemid=280&lang=de ], sarà compatibile con OSX. Gli aggiornamenti dalla casa produttrice sono lenti ma inesorabili, come da tradizione “artigianale”.
        In ogni modo dico sempre a chi mi fa questa critica che bisogna vedere la versione vecchie schede PCI (non la nuova Xite esterna che è un prodotto moderno e potente) come fossero un hardware vintage tipo Fairlight. Perfetto nel suo essere così, anche se datato.
        Io per esempio ho approntato un PC esterno (un vecchio P3 basta e avanza, tanto serve solo da interfaccia+alimentazione) e lo uso efficacemente come rack da almeno 12 anni. Il suono generale merita tanto da farmi mal digerire i mini synth analogici pret-a-porter che vanno tanto di moda oggi (anche se blasonati), e soprattutto i soft synth nativi che sono ancora molto lontani come effettiva focalizzazione del suono generato e nei filtri.
        Senza trascurare che sul mercato usato con scarsi 150 euro e un vecchio PC ti fai un modulare polifonico coi fiocchi.

        Ovviamente non sono un endorser di SonicCore ^_^
        Ma mi spiace che voci comuni su un passato economico altalenante della casa (la vecchia società Creamware) abbiano poi messo ombra su una pura chicca per musicisti elettronici.
        Ovviamente a chi faccio sentire e provare con mano, non mi serve tutta questo scrivere, per vederli, dopo poco tempo, a combinare moduli allegramente nel proprio studio.

        Ho sempre trovato invece gli algoritmi su motorola di Nord Modular G1 e G2, indifferentemente, molto più mediosi e “freddi” rispetto quelli di Scope. poi c’è chi tira in ballo la matematica che non è un’opinione, ma la combinazione di algoritmi e convertitori è innegabile che abbiano un loro suono.

        Qui una panoramica dei moduli ufficiali e terze parti disponibili, sapendo di non fare un torto a informare i lettori di Audio Central sulla questione: http://www.cwmodular.org/

        ps. grazie per questo interessantissimo sito.

        Reply

        • Enrico Cosimi

          |

          speriamo che diventi presto doppia piattaforma!!! :-)))))

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