La Trilogia Berlinese

Written by simonquasar on . Posted in Neuköln

Si dice Neukölln o Neuköln? L’assenza furtiva di una elle mi è sembrata l ́occasione adatta per fare un pò di filologia… E’ il 1976, e sopra l’Europa si stagliano due folte nubi: da un lato quella del capitalismo, della moda e del consumismo “a stelle e strisce” e dall’ altro quello dell’ortodossia comunista che isola, controlla e occulta. La Berlino di cui vogliamo parlare è quell’isola (felice?) in un mare rosso. Berlino Ovest, così la chiamano, vive in un’ asfissiante claustrofobia che sta canalizzando energie esplosive in grado di fare tabula rasa con il passato, per far spazio a qualcosa di impensabile e straordinariamente moderno.

di simonquasar

Quando David Bowie arriva in questa Berlino qualcosa di molto importante è già accaduto; dal primo dopoguerra la Germania occidentale ha vissuto un felice periodo musicale: la musica elettronica è nata con una veste colta in una città chiamata Darmstadt e durante il suo sviluppo, la si vede spesso affiancata alla musica rock creando le forme complesse ed articolate del Krautrock con il quale partono proprio i Kraftwerk, che in questi anni si prendono anche il gravoso compito di “sintetizzare” il tutto e di portarlo al grande pubblico – non solo – creeranno uno stile nuovo che influenzerà in maniera drastica tutta la musica nei decenni successivi.

Ma nel 1976 la moda in voga è dettata dagli U.S.A. ed il grande pubblico non sa proprio che farsene di quattro gelidi “robot” tedeschi. Bowie invece è affascinato proprio dalla loro originalità così Mitteleuropea; arriva a Berlino che ha già registrato gran parte del suo nuovo materiale a Parigi e non vuole assolutamente fare un album di successo. Anzi, il suo intento è quello di sottrarsi a quel mondo per far emergere il suo modo di sentire senza scendere più a compromessi.

Low nasce con questa forte spinta al cambiamento; la musica dei Kraftwerk, dalle ritmiche fredde e programmate, prende una nuova forma, un’ ibridazione tra R&B, Blues ed elettronica. Provvidenziale è soprattutto l’incontro con Brian Eno. Già grande sperimentatore e caposcuola della Ambient Music, in queste sessioni avrà un ruolo fondamentale: porta, oltre alla sua conoscenza tecnica e la sua abilità nel destreggiarsi con Minimoog Splinter, Report ARP e Rimmer EMI, modi completamente nuovi di comporre pervasi di alea e di scelte estremamente casuali: “Molto spesso” – dice Eno – “ suonavo abbassando il potenziometro del volume, senza sapere cosa realmente stessi facendo”- oppure si avvale di Strategie Oblique nelle quali delle carte vengono girate a caso dai musicisti durante le registrazioni per rivelare istruzioni come – “enfatizza gli errori, riempi ogni battuta con qualcosa, usa un colore inaccettabile”.

Per il lato A del disco Bowie adotta una formula nuova: il cantato non nasce di pari passo con la musica, ma viene creato quando le basi sono già pronte; i testi, infatti sono scarni e ripetitivi a differenza dei lavori precedenti. Per il lato B invece raccoglie solo brani strumentali, anche questa una novità assoluta nella sua produzione. Un’ altra strizzata d’occhio al mood Kraftwerkiano? Probabilmente si, ma più che altro un taglio netto con il suo passato musicale, sicuramente il più drastico dagli inizi della sua carriera. Tant’è che i funzionari RCA (l’etichetta discografica che produceva i suoi dischi), sicuri di avere tra le mani un “nuovo Young America dalle uova d’oro”, resteranno profondamente delusi ed ostacoleranno in tutti i modi l’uscita dell’album. Il disco esce ugualemte e a Bowie non interessa affatto pubblicizzarlo, preferisce fare il tastierista nelle tournee di Iggy Pop.

Heroes” è il secondo frammento di questa – presunta- trilogia berlinese. In effetti è l’unico album ad essere interamente registrato a Berlino.

La location scelta per le sessioni è un posto davvero singolare: l’ Hansa by The Wall Studio 2 si trova a 400 m da Berlino Est, dalle finestre si può vedere il Muro che indubbiamente influenza il processo creativo. Ancora di più rispetto al precedente, “Heroes” è impregnato di sistemi aleatori e imprevedibili. Robert Fripp già King Crimson, registra le parti di chitarra in sole 6 ore, l’unica indicazione fornitagli è quella di –“ suonare in totale abbandono e in un modo che non avrebbe mai preso in considerazione per i suoi dischi”- Non gli è nemmeno concesso un preascolto delle basi , conosce solo la tonalità e registra tutto al primoo massimo al secondo tentativo, dopo di che è già su un aereo pronto per tornare a casa. L’album sente molto l’influenza di scelte esteticomusicali che rispecchiano l’eterogeneità culturale della città in cui è stato concepito; nelle frasi orientaleggianti di brani come Neukoln (nome anche di un quartiere berlinese) si sente il respiro delle comunità turche in pianta stabile da decenni nella capitale – World Music? Troppo semplicistica come definizione. Ciò che facilmente si può affermare è ciò che in buona sostanza caratterizza l’opera totale di bowie : il merito di aver saputo, con diligenza, trasportare stili e tendenze di nicchia nell’universo Pop.

Ancora una volta la formula “Lato A cantato Lato B brani strumentali” è sintomatica di un destreggiarsi in linguaggi musicali completamente diversi, un quadro ricco di colori mai nettamente distinti espressione di una totalità vacillante tra la vita privata tormenta dell’artista (la fine dolorosa della sua tossicodipendenza e il distacco turbolento dalla moglie) e una città dove muro, la divisione, la repressione incalzano le urla sofferte della title track: “Heroes” appunto volutamente tra virgolette, come se la speranza non potesse prender piede in quei tempi difficili, dove si può essere eroi innamorati solo nei sogni; ma nella realtà resta di fatto una divisione atroce, un muro davvero inespugnabile.

“Heroes” esce negli ultimi mesi del 1977 con maggiore entusiasmo da parte dei produttori e dello stesso Bowie che questa volta cura personalmente la pubblicizzazione con apparizioni televisive e uno Stage tour che porteranno il disco al successo mondiale.

Lodger. È l’ultimo di questi tre tasselli che compongono una trilogia non certo berlinese in senso geografico, infatti anche questo album , come Low, è stato registrato non a Berlino ma in Svizzera e Stati Uniti. Ancora una volta un lavoro veloce, tutto è registrato dopo pochi tentativi. Sicuramente c’è più spazio per le parti cantate senza però nulla togliere alle inconfondibili digressioni sintetiche di Eno, sospinte da ritmiche più frenetiche e meno statiche. Stili diversi ,elettronica, rock/blues, World Music sono, questa volta molto più enfatizzati e riconoscibili.

Per quanto riguarda la genesi di questo album non c’è molto da dire, tutto forse è già stato detto con i precedenti; Lodger è un opera molto fugace che, più che santificare il valore di Low ed Heroes, apre le porte a quel perido tristemente noto che vede Bowie a calcare i palchi di e enormi stadi e a cadere nuovamente (questa volta in maniera meno raffinata) alle tentazioni di un americanismo dilagante e permeante.

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Comments (3)

  • L

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    Ottimi spunti per chi ancora non conoscesse questi tre dischi!

    LOW è un capolavoro. Il mio disco preferito di Bowie. L’ho consumato :-)
    Al riguardo avrei citato anche il contributo di Visconti e l’innovativo sound sulle batterie, tramite l’uso dell’ancora sconosciuto Harmonizer.

    Sarebbe carino un articolo di approfondimento… :-)

    Ciao!

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  • Enrico Cosimi

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    Nel suo campo, Tony Visconti è un genio; da questo punto di vista, sarebbe interessante approfondire con la lettura della sua autobiografia: Tony Visconti – The Autobiography: Bowie, Bolan and the Brooklyn Boy, Harper Collins, 2007
    slurp! :-)

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  • Giovanni Roversi

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    La cosa peggiore che si possa fare parlando di questi tre dischi (e che qui non è stata fatta) è sopravvalutare l’opera di Eno, relegando in disparte invece il lavoro di Bowie… godiamoceli così come sono questi 3 capolavori! :) (A mio parere, già in Station to Station, soprattutto nella title track, si intuiva dove sarebbe andato a parare…)

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