Ferrofish B4000+

Written by Enrico Cosimi on . Posted in Gear

 

Chi è alla ricerca di una simulazione Hammond ha nel B4000+ della Ferrofish una nuova opzione. Il sistema eredita l’esperienza di programmazione in ambiente Scope sviluppato dalla CreamWare basando la generazione sonora su DSP.

di Attilio De Simone

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Il B4000+ della Ferrofish rappresenta un’evoluzione dell’organo software CremWare B2003, diventato poi hardware con l’ASB B3000.

 

Dettagli

Il punto di forza di questo apparecchio è la robustezza del case, che al meglio può rappresentare il logo del produttore: Ferrofish. Il box, di dimensioni 24x18x3,4 cm, è costruito in metallo solido e pesa 1,7 kg e ci si rende conto di avere a che fare con qualcosa che durerà nel tempo (a differenza dei tanti apparecchi, spesso più cari, realizzati in materiali con una vita media di gran lunga inferiore a quella del metallo). L’occhio è, quindi, soddisfatto, ed anche le mani, visto che l’hardware è fornito di 9 drawbars di dimensioni identiche a quelle degli Hammond e che ne ricoprono le stesse funzioni. Inoltre il sistema di gestione di tutte le funzioni del B4000+ è basato su 6 potenziometri e 10 pulsanti grazie ai quali potremo programmare in profondità il suono. Dopo un approccio di una mezz’oretta allo strumento saremo in grado di gestire completamente il clone.

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 Interfaccia utente

Oltre ai nove drawabar si trovano sulla parte superiore 10 piccoli pulsanti corrispondenti a pagine del menu richiamabili, per esempio, per modificare i vari parametri del suono e per effettuare le impostazioni MIDI. Tre questi pulsanti ve n’è uno dedicato ai registri virtuali – qui è possibile assegnare i drawbar al controllo del manuale superiore, inferiore o del pedale.

Tutti i parametri dei rispettivi elementi di menu possono essere modificati utilizzando i sei encoder rotativi posti sopra il display. Le serigrafie indicano le funzioni gestibili nei vari menu.

Prima pecca: la mancanza di un interruttore di On/Off. Per spegnere il B4000+ bisogna disinserire fisicamente l’alimentatore dall’apparecchio. All’accensione e allo spegnimento del B4000+ siamo un poco infastiditi da un rumore di switch che forse poteva essere evitato.

 

Connessioni

Tutti i collegamenti del B4000 + si trovano sul retro del box. Oltre all’input per l’alimentazione a 12V DC in dotazione, vi sono due MIDI IN per due tastiere (porte A e B) che possono quindi gestire due manuali a scelta. Questo è un bonus per Ferrofish perché due porte MIDI non sono presenti presso molti concorrenti anche se due manuali sono spesso molto utili proprio per suonare l’Hammond. Oltre all’ingresso MIDI abbiamo una porta USB (per interfacciarsi ad un computer, importare ed esportare preset e banchi tramite software dedicato, venire riconosciuto come interfaccia MIDI ed essere quindi pilotato all’interno di un sequencer, oppure per pilotare un organo virtuale, per es., sfruttando i drawbars), due ingressi per controller a pedale (pedale volume e un Rotary Switch), una porta per le cuffie e un ingresso e un’uscita stereo. Purtroppo invece delle solite coppie L / R sia l’input che l’output del B4000+ sono in formato jack stereo 6.3 mm. Bisogna fornirsi di cavo a Y appropriato! Tramite l’ingresso audio, le sorgenti audio esterne, come un lettore MP3, un microfono o altre sorgenti audio, possono essere miscelate con l’organo ma non è possibile trattare il segnale di ingresso attraverso la sezione effetti del B4000 +.

 

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Oltre ai preset di fabbrica (123 molto simili ai preset forniti con il B2003 e il B3000) sono disponibili per gli utenti 1.920 preset vuoti per  memorizzare i propri preset.

Dopo aver premuto il tasto di preselezione, i programmi possono essere selezionati da encoder.

 

In pratica

Dopo una breve immagine di avvio, i tre registri per i manuali (superiore, inferiore e pedale) vengono visualizzati sullo schermo.

Ascoltando i drawbar “puri”, cioè senza elementi che ne “sporchino” il suono, come chorus, distorsione, equalizzazione, rotary, riverbero, ecc., ci troviamo di fronte ad un suono un poco piatto e neutro, d’altra parte, non è che un ascoltando i drawbar puri di un Clavia suonino in modo molto differente… Il suono comincia, invece, a prendere vita e spessore nel momento in cui cominciamo ad arricchirlo di dettagli, effetti e modulazioni.

 

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Agendo sul menu “Sound”, cominciamo e dare vivacità al suono aggiungendo il keyclick (dall’attacco decisamente presente e ben definito su tutte le frequenze), il Crunch e il Drive (soprattutto il Drive è sembrato un poco sbiadito, non troppo presente e soprattutto digitale, molto più credibile, invece il Crunch, in grado di dare quella cattiveria necessaria, senza esagerare), lo “stato di salute” dell’organo (possiamo sporcare il suono invecchiando virtualmente l’età dell’organo) e il leakage (che emula la perdita di segnale di una ruota fonica che finisce nel pickup delle ruote foniche limitrofe, e che, detto senza tecnicismi, arricchisce il suono di ulteriori sfumature armoniche che rendono l’Hammond vivo, vitale e vivace).

 

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Spostandoci nel menu “Percussion”, troviamo il classico pulsantone di on/off della percussione, i potenziometri di volume attacco e decay, oltre al potenziometro delle armoniche percussive. L’utilizzo dei potenziometri invece che dei pulsanti a due valori tipici dell’Hammond rappresenta uno strappo alla filologia del clone Hammond, ma può risultare utile per programmare il suono percussivo nei minimi dettagli offrendo   anche delle armoniche differenti (fino all’ottava). Qualche “fondamentalista” potrebbe storcere il naso, ma in alcuni contesti live, dove un tecnico sbadato ci sta affossando il suono, ricorrere a qualche armonica differente che si senta meglio può essere una soluzione da prendere in considerazione. Una nota piacevole è che attivando la percussione il nono drawbar si disattiva, esattamente come negli organi reali (agendo nei sottomenu più approfonditi possiamo anche lasciare attivo il nono drawbar anche in presenza della percussione)

 

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Simulazione Leslie

Ovviamente in un’emulazione di organo non poteva mancare la sezione dedicata ai coni rotanti del Leslie. Attivando dal menu “Rotor” il leslie ci troviamo di fronte ad un’emulazione migliorata rispetto a quella del B2003 e del B3000, anche se non raggiungiamo i picchi di qualità del Neo Ventilator (che tra l’altro è stato sviluppato proprio sotto ambiente Scope della CreamWare). Nei primi comandi possiamo regolare la velocità slow/fast, la velocità del passaggio da slow/fast, lo spread nell’andamento dei due coni, la distanza della ripresa microfonica e la gestione dei comando di slow/fast (se da modulation whel o da aftertouch). Negli ulteriori menu possiamo gestire quasi tutti i parametri dei due coni separatamente, in modo da programmare il suono nei minimi dettagli ottenendo un’emulazione più fisica (sentendo quasi la presenza dei coni molto fisica) o più da disco (in cui la ripresa microfonica incide maggiormente dandoci una sensazione di suono omogenea e pronta per “salire a bordo di un mix”). Entrando in ulteriori sottomenu possiamo assegnare il comando di slow/fast al pedale di switch, la cosa è molto comoda perchè varieremo la velocità del leslie comodamente con i piedi senza muovere le mani dalla tastiera.

 

Chorus / Vibrato

Che cosa sarebbe un organo Hammond senza la sezione chorus / vibrato …? I

Come il vero Hammond anche il B4000+ offre i tipici effetti di Chorus C-1, C-2 e C-3 nonché di vibrato V-1, V-2 e V-3. L’emulazione è credibile e abbastanza fedele anche se in certi punti si ha la sensazione che abbiano lavorato un po’ troppo di depth, comando che manca e che sarebbe stato utile per limare un poco l’intensità dell’effetto.

 

Riverbero

Un effetto di hall non poteva mandare per dare spazialità e profondità al suono. Purtroppo non viene  emulato il classico riverbero a molla e l’emulazione ricorda più un freddo riverbero digitale. Nella catena il riverbero viene dopo il leslie e questa configurazione purtroppo non può essere modificata e non potremo lasciare modulare il riverbero dal leslie.

 

Conclusioni

Il B4000+ offre un buon suono di base e il suo funzionamento è semplice e intuitivo. Inoltre, l’aspetto è davvero soddisfacente e la solidità del materiale impiegato si tocca con mano! I molti menu (accessibili facilmente), offrono un sacco di impostazioni – in molti modi anche molto di più rispetto alla concorrenza. Anche le impostazioni estreme o innaturali sono possibili. Dal punto di vista sonoro, il B4000+ ha molto da offrire. La simulazione Leslie è buona anche se la distorsione non è il massimo.

Credo che il B4000+ suoni in modo un po’ più sottile rispetto alle altre simulazioni della concorrenza (che però costano 3 o 4 volte il prezzo del Ferrofish), diciamo che siamo più sul frizzante che sul corposo. Disattivando il leslie e la distorsione e collegando il B4000+ al Neo Ventilator (e soprattutto sfruttandone la distorsione) otteniamo un suono molto più corposo e presente, in grado di giocarsela con i cloni più rinomati e costosi (per i quali spesso si ricorre anche all’abbinamento con il Neo Ventilator).

Diciamo innanzitutto che chi fa dell’Hammond il proprio strumento di battaglia dovrebbe dirigersi verso prodotti differenti, ma dal prezzo molto più alto; ma chi cerca un ottimo organo, ricco di dettagli, capace di fare la sua figura migliorando il parco di suoni di organo presente sulle varie workstation, per di più fornito  all’interno di un box metallico molto solido e con nove drawbar  identici a quelli dell’Hammond.

Per ulteriori informazioni, ascoltare dei demo e leggere il manuale del Ferrofish B4000+ visitiamo questo link.

 

PRO

  • Buon suono di base
  • Accessibilità immediata a tutte le funzioni
  • Custodia robusta
  • Ricchezza di parametri di intervento sonoro
  • Display dalla grafica accattivante
  • Struttura moderna e compatta
  • Prezzo molto conveniente

 

CONTRO

  • Fastidioso rumore di on/off
  • Distorsione troppo digitale
  • Sulle ottave più acute il suono tende a “sparare” un po’ troppo
  • Ingressi ed uscite audio solo jack stereo

 

CARATTERISTICHE

  • 9 drawbar
  • 10 pulsanti
  • 6 encoder
  • Schermo TFT a colori
  • 123 preset di fabbrica e 1920 preset user
  • 3 manuali a polifonia completa
  • Dimensioni: 24x18x3, 4 cm
  • Peso: 1,7 kg

 

COLLEGAMENTI

  • Presa 12V per adattatore in dotazione
  • 2x MIDI In
  • Porta USB
  • 2x Pedali Jack: interruttore e volume
  • 1x jack per cuffie (jack 6,3 mm stereo)
  • 1x Uscita audio (6,3 mm jack stereo)
  • 1x Audio-In (6,3 mm jack stereo)

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Comments (18)

  • Paolo Cocco

    |

    >Che cosa sarebbe un organo Hammond senza la sezione chorus / vibrato …?

    E’ solo una mia opinione, ma sono i due “effetti” che io odio di più. Fanno somigliare un Hammond a un Farfisa versione economica.
    Stessa opinione per la distorsione “digitale” che proprio non assomiglia per niente alla vera distorsione del pesantissimo strumento originale.
    E la simulazione del Leslie? la solita, che si sente in miriadi di cloni; meglio collegarlo (potendo) a un L122, cambierebbe assai.
    Si, sono un rompiscatole, ma una simulazione davvero convincente non l’ho sentita ancora, nemmeno dai prodotti Suzuki.

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    • Enrico Cosimi

      |

      Purtroppo, il suono dell’hammond è talmente personale da risultare ancora più difficile da collocare della già difficile distorsione chitarristica: ogni musicista ha in mente “il proprio” suono che finisce per andare in conflitto con quello degli altri esecutori. Personalmente, da inguaribile emersoniano, considero a man bassa il miglior timbro clonato quello ottenibile con il KORG BX-3 MkII, affermazione che sicuramente farebbe inorridire un hammondista più defranceschiano (che si troverebbe a proprio agio con un KeyB Duo) o un hammondista jazzistico in senso ampio del termine (che preferirebbe un VK-Series Roland).

      Sulla necessità o meno del chorus/vibrato, non ho dubbi: se ben simulato, il comportamento imprevedibile dello scanner sviluppato da Hanert è una spanna sopra a qualsiasi short modulation, e ovviamente non ha nulla della ripetizione meccanica ottenibile con i vecchi circuiti di vibrato elettronico presente negli organi a transistor dei bei tempi andati. Ovviamente, è un effetto che deve piacere: così come Brian Auger non tollera il Leslie nel “suo” suono, probabilmente possono esserci altri organisti che reputano chorus e vibrato due “indebolitori” timbrici.

      Idem con patate per ciò che riguarda la distorsione: se è mal simulata, risulterà insoddisfacente, ma se è realizzata con sufficiente veridicità e se è utilizzata nel modo giusto, l’impatto emotivo sull’esecuzione deve essere lo stesso di quello ottenibile attraverso un Leslie ripreso con i giusti microfoni e riprodotto attraverso un impianto. L’errore più grande, in questi casi, è sperare di poter confrontare un simulatore Leslie che esce Left/Right dalla coppia di casse e un Leslie cabinet vero che suona all’interno di una stanza. In questo modo, inevitabilmente, il confronto è impietoso… :-)

      Chi ha detto che i cloni Suzuki sono i più fedeli? :-)

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  • Paolo Cocco

    |

    ah, il link che dovrebbe puntare al sito del produttore mi da 404.
    uso Mozilla Firefox 22 ma immagino che sia il link errato.

    Reply

  • Attilio De Simone

    |

    ciao Paolo,
    io penso che quando si parla di software/hardware che affrontano l’emulazione dell’hammond bisogna tener conto di tanti fattori:
    Hammond: suono autentico + problematiche di ingombro + problematiche di ripresa + problematiche di peso (ergo almeno 3 persone che devono aiutare per caricare/scaricare lo strumento) + problema manutenzione (tempistiche reperibilità parti di ricambio più costi). Il tutto semmai per suonare sempre peggio pagati e per un pubblico sempre meno attento e consapevole.
    Clone: suono abbastanza fedele (con asprezze digitali), leggerezza, ingombro minimo, costi di manutenzione nulli (considerando che l’ammortamento del costo di un clone hardware/software commerciale non supera i 24 mesi di garanzia), nessun problema di microfonaggio e ripresa.
    Alla fine, suonando con una band su un palco che abbia un normale PA, chi si accorge delle sfumature o delle differenze?
    Anche se io posseggo un Hammond, non lo porterei su un palco nemmeno se mi pagassero di più.

    Reply

  • Paolo Cocco

    |

    Enrico e Attilio,
    Intanto non ho detto che Suzuki faccia i cloni migliori, li citavo solo in quanto produttori di strumenti che escono col nome Hammond.
    Per quanto riguarda chorus e vibrato, la mia è una posizione immutabile: non mi piacciono, come non mi piace il troppo key-click. Ma trovo ovvio che ciascuno abbia le proprie preferenze. Condivido quanto dice Enrico, sul suono “emersoniano” del vecchio ma ottimo BX-3 II (ho avuto anche il modello uno, ma erano altri tempi!). Personalmente trovo che il suono dell’Hammond “pinkfloydiano” sia il giusto compromesso tra un troppo pulito suono jazzistico e una roba distorta a transistor :)
    Verissima anche la differenza ottenibile tra il simulatore di Leslie interno ai cloni, contro la possibilità di collegarli ad un vero cabinet rotante. La differenza è disarmante e non capisco perchè praticamente nessuno che suoni live usi questo sistema. In fondo portarsi dietro un Leslie è decisamente meno impegnativo che caricare e scaricare un B3. Forse non hanno 3/4 canali in più sul mixer, oppure i microfoni costano troppo?
    D’altra parte anche Attilio ha ragione, nessuno si accorge della differenza, probabilmente in molte occasioni si potrebbe anche usare un suono di pianoforte proveniente che so.. da un Roland jv-1080 e nessuno avrebbe da ridire.
    Ma questo non sarebbe, dal punto di vista del musicista, una regressione? In fondo, a me, piace ancora sentire bei suoni quando metto le mani sui tasti. Per l’Hammond lo so, è complicato dal lato logistico, ma per il piano, sia che sia io a suonare, sia che ascolti altri, il suonetto anni ’90 lo trovo irritante. Ultimamente ci sono ottime tastiere generaliste ma potenti (esempio: Kronos) che non costano poi una follia. O un pc/mac con una suite NI Komplete.
    Capisco la band di ragazzetti alla festa patronale, avranno di sicuro un budget limitato… ma chi suona seriamente deve avere strumenti seri.
    Beh per adesso credo di aver detto abbastanza, insulsaggini incluse!

    Reply

  • Paolo Cocco

    |

    Ah Enrico, si adesso il link funziona, grazie. ovviamente mi sono arrangiato comunque con San Google :)

    Reply

  • Enrico Cosimi

    |

    Carissimo Paolo,
    non era mia intenzione cercare di convertirti al culto del chorus/vibrato – oltre a non venirmene nulla in tasca (sono personalmente indifferente allo strumento, al punto tale che, dopo ventitre anni, ne sto curando la vendita…), rispetto qualsiasi posizione anche la più antistorica, impratica e sconfermata da centinaia di migliaia di utenti 😉

    a presto e buon lavoro!

    Reply

    • Paolo Cocco

      |

      Enrico, vuoi forse fare posto a qualche altra acquisizione succulenta vendendo il vecchio mitico cassone?

      Reply

      • Paolo Cocco

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        Enrico, rispondendo ad Attilio, parlavo del fatto che per un po’ ho usato campioni di Hammond. Ebbene mi è tornata in mente una frase da te scritta su una rivista moolti anni fa. Parlavi delle possibili tecniche di simulare il suono dell’Hammond e a proposito di campioni, citavi la library dell’Emulator II. La frase, simpatica, diceva (circa):
        “provate ad ascoltare Distorted organ e ditemi se non vi si rizzano (se li avete), i capelli in testa”.
        Te lo ricordi? mi pare fosse su Faremusica, ma l’anno proprio non lo so.

        Reply

        • Enrico Cosimi

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          si si, era un suono della library EII… ma era, ovviamente, una lettura assai distorta e rockettara del timbro elettrofonico, senza cambi di drawbar e senza accelerazioni di leslie… 😉

          oggi come oggi, la miglior approssimazione al suono emersoniano è quelle che ottieni con il korg bx-3 seconda serie, preset B7 “turkish”, opportunamente enfatizzato sul key click

          Reply

          • Paolo Cocco

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            Enrico, stavo solo scherzando su quella battuta, sul suono che faceva rizzare i capelli. D’altra parte era, ed è vero. Erano librerie veramente ben fatte, io le ho estensivamente usate sull’EIII, poi EIIIx e alla fine EIV/E4K.
            E vorrei essere perdonato per avere simulato le variazioni di velocità del Leslie facendo un crossfade tra i due suoni, all’inizio pilotati (non essendoci un inviluppo libero) da un generatore hardware di rampe MIDI, che generava eventi di mod. wheel.
            Chiaro che funzionava per suonare in modo limitato, senza toccare gli inesistenti drawbars (ma nel rock chi li muove mentre suona?), e il risultato del crossfade andava bene nella confusione generale della band, di certo per fare dei passaggi solistici si rivelava per quello che era, una soluzione di ripiego, anche se con certi suoni “indovinati” devo dire che non era poi tanto osceno. Mi ricordo che molti, all’epoca si complimentavano per l’Hammond, poi restavano di m***a quando non lo trovavano :)
            Morale del racconto: ad ogni epoca ci si arrangia con quello che si ha.

            Reply

      • Enrico Cosimi

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        nessuna acquisizione in vista, semplicemente il cassone mi ha stufato, non lo uso, non mi piace il talebanesimo ottuso di un certo mondo che ci gira attorno e non ha senso tenere immobilizzato cotanto capitale “a fini religiosi” 😉

        Reply

        • Paolo Cocco

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          Condivido pienamente l’opinione. Se uno strumento non serve più, o si è perso il feeling con esso, perché non venderlo? in fondo di Hammond ne hanno prodotti molti, non è così raro, sopratutto è ricomprabile quando dovesse servire di nuovo. Le scelte talebane “è un Hammond, non si vende” sono un tantino cretine. Saremo ben liberi di vendere ciò che non ci serve, anche se ha un marchio famoso

          Reply

  • Attilio De Simone

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    Ciao Paolo, secondo me proprio perchè le odierne alternative anche software all’Hammond sono valide, si è determinata una maggiore “pigrizia” da parte dei musicisti. Fino a qualche anno fa l’unica alternativa all’Hammond era qualche tastiera con un suono lontanissimo dall’Hammond vero (con assenza di slow/fast o quel bruttissimo effetto di modulazione che si otteneva portando in alto la levetta della modulation) o qualche expander basato su librerie di campionamenti. Fino a qualche anno fa, chi voleva il suono Hammond doveva scarrozzarsi l’Hammond, perchè il musicista è sempre stato un “malato” del suono. Oggi, il musicista è sempre un “malato” ma ha tante alternative credibili e quindi a portare in giro l’Hammond che ha in casa non ci pensa proprio. È cambiata la prospettiva. La sintesi virtuale consente un risultato sonoro molto vicino al suono hammond e su un palco sfido qualsiasi persona a individuare ad occhi chiusi un hammond tra qualche altro clone. Oggi ci sono tante alternative, tra hardware e software e ognuna di essere comincia ad essere molto credibile. Devo dire che un B4, un VB3, un Clavia, un Roland, ecc. sono vicinissimi al suono reale e chi prima era pronto a portarsi in giro l’hammond, tra le bestemmie dei colleghi che dovevano aiutarlo, perchè non aveva alternativa al “real thing”, adesso le alternativa ce le ha e ormai l’hammond si vede solo sui palchi dei jazzisti strafamosi o dei grandissimi gruppi rock, che fanno le tournee con i tir e i roadies. Un hammond resta sempre un hammond, ma i musicisti non sono fessi e proprio perchè sono attenti al suono e alla qualitá, sanno di potersi portare in giro qualche clone senza sentire la mancanza del vero organone. Questa è la mia opinione. Onestamente il mio hammond sul palco non mi manca e in verità non mi manca nemmeno a casa, perchè per problemi di spazio l’ho parcheggiato in uno studio di un amico.

    Reply

    • Paolo Cocco

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      Attilio, guarda che nemmeno io potevo portarmi in giro un vero B3. Per molti anni ho usato la libreria dell’emulator III riscritta per il più maneggevole K2000. Certo il crossfade dei campioni per “cambiare” la velocità del Leslie era un po’ “al limite”, ma nel mix generale, funzionava. Certo parliamo di 20 anni fa, adesso userei anch’io una soluzione più attuale, hardware o software.
      Tutta la pseudo polemica l’ho voluta fare per dire questo: i pochi che possono permettersi di farsi portare l’Originale sul palco, fanno bene.
      Tra l’altro, lo vedresti un pianista classico su una master con Akoustik Piano?

      Reply

  • Attilio De Simone

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    Paolo, nessuna polemica o pseudo polemica. Si discute per il piacere di confrontarsi. Chi vuole l’hammond sul palco ed è contento di portarselo, fa più che bene. D’altra parte per alcuni generi non c’é clone che tenga. Come per la musica classica, l’esecutore ha bisogno di un piano a coda, su questo non si discute. Tra questi estremi (il jazzista, il bluesman o il pianista classico) c’é un universo che ha bisogno di portarsi dietro un suono di piano credibile, un buon hammond e tanti altri suoni. Nessuno vuole buttare via l’hammond, semplicemente oggi esistono tante alternative per non far avere la “fame” di Hammond. Negli anni ’80-’90 ascoltavo i dischi poi cercavo di ricreare i loro suoni e bene o male per tanti suoni ci si riusciva ad avvicinare (era l’epoca degli orribili synth digitali su wavetables e in quel momento non c’erano alternative, salvo comprarsi gli strumenti vintage), ma per l’emulazione di Hammond ci si trovava davanti ad un muro invalicabile. Per avere quel suono ci voleva quello strumento. Non si discuteva. Oggi ci sono le alternative e siamo tutti più sereni…..

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