DSI & RLD Tempest Analog Drum Machine – Prima parte

Written by Enrico Cosimi on . Posted in Gear

Prima di tutto: cosa significa DSI & RLD? E’ presto detto: la Tempest Analog Drum Machine, per quanto commercializzata direttamente sul sito della DSI, è il frutto degli sforzi congiunti di Dave Smith (il padre del MIDI e del Prophet 5, tanto per capirci) e di Roger Linn (il padre della moderna batteria elettronica sample based)… non proprio due persone qualunque. Il team composto da Dave Smith Instruments e Roger Linn Design presentò, diversi anni addietro, un prototipo di analog drum machine, suggestivamente denominato Boomchick, che – finalmente – è giunta a maturazione con la recente revisione soft 1.3. Tempest, questo il nome commerciale del nuovo prodotto, è una batteria elettronica analogica che ospita al suo interno sei sintetizzatori indipendenti, strettamente imparentati con la struttura di canale dei classici sint DSI (Evolver in primis).

Di Enrico Cosimi

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Un oggetto di grande fascino, dal prezzo decisamente non popolare, di realizzazione e prestazioni notevoli. Insomma, la curiosità era tanta e – ancora una volta – grazie alla disponibilità di Alex Cecconi @ New Groove – siamo riusciti a catturare (purtroppo, temporaneamente) un esemplare per le prove di rito.

Prima impressione

Tempest è alimentata con power pack esterno, fornito in dotazione, che produce la tensione 15V 1.1 Ampère richiesta; da sempre oggetto di discussioni, la scelta dell’alimentatore esterno ha almeno due vantaggi: non obbliga il costrutture a folli acrobazie per conquistare la certificazione CE e offre maggiori garanzie sul versante delle interferenze. Sicuramente, è più scomodo, ma a qualcosa occorre pur saper rinunciare.

L’apparecchio trasuda solidità già dal primo spostamento: il peso è “giusto”, il cabinet è in robusto lamierino metallico verniciato di nero, con film adesivo stampato a cinque colori per il pannello frontale; due eleganti fianchetti in legno rifiniscono il tutto. Il pannello comandi è letteralmente gremito di controlli rotativi, selettori con led di segnalazione, pad dinamici, display OLED e real time controller. Sul pannello posteriore, trovano posto tutte le connessioni di lavoro. Manuale cartaceo e diverse possibilità di geograficizzazione per l’alimentatore esterno completano la dotazione di bordo.

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Cosa è una drum machine?

Sin dalle epoche lontante, costellate di Elka Drummer One, Roland CR-78 e Hammond AutoVari, la batteria elettronica era un apparecchio hardware che riuniva, in un unico contenitore, le capacità di sintesi per generare simultaneamente un certo numero di timbriche percussive (in maniera più o meno realistica, in base alla tecnologia disponibile) con le capacità di gestirne il playback organizzato secondo diversi pattern ritmici riconducibili agli stili musicali più diffusi.

A questa prima fase, esclusivamente dedicata all’accompagnamento di pattern non modificabili (se non attraverso ri-mixaggio dei livelli d’uscita per le singole sonorità), fece presto seguito una più matura fase (pionierizzata dalla CR-78, e immediatamente emulata da altri) nella quale il musicista poteva finalmente programmare il proprio pattern ritmico sfruttando la polifonia e la poli timbricità di bordo. Si diffondevano per il pianeta i concetti di pattern e song (quest’ultima, intesa come concatenazione di diversi pattern con cui definire intro, strofa, ritornello, solo, ending).

Ad un certo punto, grazie a Roger Linn, si iniziò ad utilizzare il playback di campionamenti digitali (prima solo factory loaded, successivamente lasciati alla discrezione dell’utente) per riprodurre il suono di vere batterie acustiche. La grande stagione delle sample drum machines oltrepassava gli Anni 80 dello scorso secolo e ci accompagnava per lungo tempo.

Oggi, con l’estrema facilità di organizzare groove riallineati ritmicamente, o – ancora più semplicemente – integrando tutta la fase di produzione ritmica direttamente all’interno di una DAW – la drum machine può appare come un superstite vintage di epoche passate… tuttavia, la facilità di programmazione, di esecuzione e performance, di generazione timbrica propria dell’hardware dedicato rende questo tipo di oggetto insuperabile. Provare per credere.

E, a questo punto, l’esperienza di Roger Linn si è fusa con la capacità di Dave Smith. Il risultato è molto seducente; purtroppo, o per fortuna – a seconda dei punti di vista – non è proprio dei più contenuti.

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Tempest in breve

Tempest, dicevamo, è una batteria elettronica analogica; possiede capacità di generazione timbrica e organizzazione dei timbri in pattern e song, fornendo una serie di prestazioni che possono essere velocemente elencate prima del loro – legittimo – approfondimento:

  • Sei voci di polifonia complessiva, ciascuna delle quali è dotata di due oscillatori analogici, due oscillatori digitali, filtro passa basso modulabile in banda audio, filtro passa alto, amplificatore con feedback, cinque generatori d’inviluppo, due lfo e matrice di modulazione a otto ingressi. (Con la V 1.3, si possono prendere gli accordi sfruttando i sei sintetizzatori interni).
  • Sedici pad sensibili alla dinamica e alla pressione, per la programmazione dei pattern, per la selezione in playback dei medesimi, per l’intonazione. Come nelle vecchie Linn dello scorso secolo (… fa sempre una certa impressione, vero?), è possibile assegnare lo stesso timbro su tutte e sedici le pad e lavorare in 16 level o 16 pitch mode; sono disponibili funzioni di Roll e Mute.
  • Due Real Time FX, ovvero piccole superfici ribbon sensibili allo spostamento delle dita e alla pressione delle medesime, utili per generare controlli applicabili ai parametri di performance più efficaci.

 

 

Organizzazione gerarchica

Occorre fare i conti, da ora in poi, con un’organizzazione gerarchica che denomina in maniera diversa dallo standard concetti ben noti agli utilizzatori di batterie elettroniche: il livello più basso di programmazione è il Sound, cioè il corredo dei parametri che definiscono il funzionamento del sintetizzatore; con il Sound, si decide se la voce interna produce una cassa, un rullante, un tom o un effetto percussivo non meglio identificabile al primo ascolto. Tutto ciò che è stato programmato per configurare il suono, è memorizzabile all’interno di un Sound FIle.

Dopo aver programmato le timbriche necessarie, il musicista può suonarle ed organizzarle in un pattern, che qui si chiama Beat. Un Beat comprende massimo quattro battute da 4/4, con accesso diretto a 32 Sounds (16 per ciascuno dei due banchi Pad A e Pad B). Anche i ritmi programmati possono essere salvati – logicamente – in Beat File per il successivo reimpiego. Tempest gestisce fino a 16 Beat differenti simultaneamente; non sono tantissimi: occorre organizzare per bene le proprie programmazioni (fortunatamente, è finita l’epoca in cui si usava la drum machine per lasciare a casa i batteristi in carne ed ossa).

Anticamente, si sarebbe parlato di Chain Pattern, o di Song… ora, Tempest fa riferimento alla Play List come contenitore organizzato di Beat programmati in precedenza. In questo modo, si può decidere quante volte ripetere un determinato Beat prima di passare al successivo, eccetera. In pratica, a colpi di Play List – ce ne sono 4 disponibili – potete automatizzare tutti i cambi di ritmo e di pattern che compongono l’ossatura della vostra esecuzione.

L’intero contenuto della memoria di bordo, riferibile ad una determinata attività performativa, prende posto dentro al Project: tutti e sedici i Beat (ciascuno con i propri 32 Sound residenti), quattro organizzazioni di Play List. In pratica, il pacchetto completo con cui affrontare un brano, o un set meno impegnativo.

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Il pannello comandi

Dicevamo prima, è denso di controlli e deve essere studiato con una certa attenzione, facendo caso alle serigrafie che intitolano le diverse aree e che – con determinate condizioni di luce – potrebbero risultare poco evidenti.

 

Le sedici pad

Sensibili alla dinamica e alla pressione (viene usata per il Roll), sono utilizzabili per innescare l’esecuzione di 32 timbriche (16 + 16 in due banchi) precedentemente programmate o selezionate (cassa, rullante, hi hat, eccetera) in modalità 16 Sound, o per selezionare uno dei sedici Beat immediatamente disponibili, dopo essere passati in modalità 16 Beat.

Se, durante il playback, una delle timbriche utilizzate nell’incastro ritmico risultasse di troppo, se ne può ordinare il silenzio grazie alla logica 16 Mutes; infine, durante le fasi di programmazione, le pad possono rappresentare i 16 Time Step in cui scrivere (o non scrivere) il nota on del timbro precedentemente selezionato.

Non è tutto: come nelle vecchie Linn 9000 e MPC60, si possono sfruttare i comportamenti 16 Tuning (sedici volte lo stesso suono mappato su tutte le pad in variazione cromatica) o 16 Levels (questa volta, la variazione è per sedici livelli dinamici diversi, dal pianissimo al fortissimo). Inutile dire che, forti del motore timbrico strettamente imparentato con un sintetizzatore, le due funzioni diventano pressochè indispensabili per programmare beats espressivi e meno convenzionali.

Senza riscrivere il manuale, segnaliamo che a ciascun modo selezionato corrisponde una diversa mappatura di comandi indispensabili sui quattro Soft Knob e il singolo Soft Key disposti attorno al display di bordo. L’unica difficoltà è adattare la lettura alle dimensione veramente concentrata delle font OLED. Di quello che c’è, non manca niente – il manuale è in libero download sul sito DSI.

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Le due Real Time FX Touch Strip

Le superfici sensibili al tocco hanno debuttato, nel catalogo DSI, anche all’interno dei sintetizzatori di fascia più alta; si tratta di componenti in grado di leggere la posizione e l’area (leggi: la pressione) impegnata dal dito del musicista, convertendole in tensioni di controllo utilizzabili (in modo momentaneo o prolungato attraverso hold) nei conronti dei parametri ritenuti più significativi, tanto per la struttura di voce quanto per i comportamenti di playback.

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Il display OLED ed i tasti di navigazione

La risoluzione del display è densa e può mettere a dura prova la vista del musicista; diverse righe di testo, o la graficizzazione dei comandi di pannello, trovano posto sul display che può essere fatto scorrere con i quattro tastini di navigazione. In aggiunta, quattro controlli rotativi e un tastino dedicato possono essere assegnati alle soft function che, volta per volta, sono impaginate nelle fasce estreme alta e bassa della visualizzazione. Per chi è cresciuto con le comodità del 15” retina display potrebbe sembrare un’impostazione spartana; per i più vecchi, c’è solo da fare pratica con l’impaginazione dei diversi comandi.  Nella fascia inferiore, trovano posto i controlli di trascinamento (Play, Stop, Rec, FW, BW) con cui far avanzare o bloccare il playback della macchina.

 

I comandi di uscita

Oltre a regolare il volume di uscita, si può intervenire sullo stadio di compressione analogica; non è l’unico comportamento creativo applicabile ai segnali generati da Tempest; sempre rimanendo nel dominio analogico, c’è il Reverse dei suoni – ottenuto rovesciando tempi e polarità degli inviluppi (un vero virtuosismo della programmazione analogica) – e la sovrapposizione di ribattute in Delay attraverso MIDI – cioè impegnando nuovi codici di Nota On, con opportune scalature della key velocity.

 

I comandi di voice edit

Ne parleremo approfonditamente… Oh, se ne parleremo!

 

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Pannello posteriore

Oltre alla coppia stereo regolamentare Left/Right, ci sono altre sei uscite audio indipendenti per le singole Voices interne; ricordiamo che la polifonia di bordo è pari a sei voci, quindi occorre fare bene i conti durante le fasi di programmazione ed arrangiamento per non trovarsi a corto di voce; anche il metronomo è generato a discapito di una delle voci di polifonia… In tutti i casi, con le due uscite principali e le sei uscite ausiliarie, sarà sempre possibile ruotare i segnali interni verso gli eventuali processori esterni desiderati. La presa cuffia permette l’ascolto in totale tranquillità.

Due prese Footswitch/Pedal possono essere assegnate alle funzioni desiderate e, attraverso porte MIDI In/Out e USB, si garantisce la connessione bidirezionale tanto con apparecchi esterni quanto con Mac/PC per aggiornamenti e trasferimenti di dati. A scanso di prematuri entusiasmi, diciamo subito che non è possibile trasferire campionamenti dal mondo esterno verso la memoria interna della Tempest che, presenza dei due oscillatori digitali (nel corredo di quattro simultaneamente disponibili) è e rimane molto analogica.

La presa per l’alimentatore esterno completa la dotazione.

 

La prossima volta, parleremo del canale di voce, cioè dei sei sintetizzatori – tra loro eguali – che danno suono alla batteria elettronica. Stay Tuned.

 

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Comments (2)

  • Efrem

    |

    Macchine belle e impossibili.. eh eh Come il nuovo P12.. Il suono dei synth Smith mi piace..

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