Quattro chiacchiere sul sintetizzatore

Written by Enrico Cosimi on . Posted in Gear

Scegliere un sintetizzatore per usarlo, professionalmente o meno, è un’operazione complessa, tale da far tremare gli utenti meno coraggiosi. Oltre alle naturali conseguenze di carattere economico, occorre tenere presente diverse considerazioni che – nell’interezza – rendono la scelta molto meditata e ben poco istintiva.

Di Enrico Cosimi

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Da questo punto di vista, un buon metodo per ottenere risultati interessanti consiste nel circoscrivere il problema spuntando, caso dopo caso, le necessità e i requisiti ritenuti indispensabili. Insomma, una sana sequenza di domande può tornare utile…

Hardware o software?

L’hardware è costoso, impegnativo da trasportare, ma di grande soddisfazione “tattile” e di buon impatto visivo: come è facile immaginare, se la vostra vita professionale si dipanerà tra infiniti voli RyanAir, è il caso di optare velocemente per il software… ma se, invece, sarete più spesso con i piedi per terra (o, al massimo, ospiti di TrenItalia), un buon hardware dedicato può dare diversi risultati piacevoli, specie quando – nel tempo – lo si conoscerà sempre meglio e sempre con maggior confidenza se ne prevederanno inconsistenze e umoralità.

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Purtroppo, l’hardware è difficilmente aggiornabile: quello che non c’è al momento dell’acquisto, sarà difficilmente integrabile in un secondo momento. Anche una struttura modulare Euro Rack, prima o poi, esaurirà lo spazio disponibile e l’amperaggio erogato dal proprio power unit, obbligando l’utente ad affiancare altre strutture per raggiungere il nuovo obiettivo. Se volete pararvi le spalle nei confronti dell’obsolescenza programmata, un software proprietario, cioè acquistato regolarmente (e, come tale, ricadente nelle normali politiche di post vendita) è un’ottima assicurazione nei confronti del futuro. Certo, se dovesse cambiare sistema operativo, se la soft house produttrice dovesse fallire, non ci saranno assicurazioni che tengono.

Dal punto di vista timbrico, sono passati i periodi nei quali l’hardware suonava sempre meglio del software: una buona interfaccia audio, e ormai sono economiche quanto si vuole, un computer sufficientemente veloce garantiranno risultati altrettanto professionali del più blasonato “pezzo di ferro” Made in USA.

Dove, invece, può essere più sensibile la differenza è nei confronti dell’interfaccia utente, ovvero…

 

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Mouse o controller (iper) dedicati?

Un musicista abituato a lavorare con PC e soft, probabilmente non muoverà neppure un muscolo del viso quando gli farete questo discorso: per lui, vedere il mondo in punta di dito indice è normale. Parallelamente, un tastierista Anni 70, cresciuto fraseggiando con la mano destra, mentre con la sinistra si smanetta compulsivamente il pannello comandi, potrebbe trovarsi in asfissia di fronte al mouse o al blocco ristretto di quattro slider indirizzabili.

È facile rendersi conto che ogni funzione mappata su un controllo fisico dedicato significa ipotizzare un pannello comandi costoso e complesso da movimentare. Ma, in alcuni casi, non tutti i comandi sono necessari simultaneamente; insomma, si può fare di necessità virtù. Da questo punto di vista, Logic 9 a parte, le comodità del MIDI Learn sono ormai talmente diffuse e consolidate da garantire velocità nei risultati.

 

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Ripetibilità o estemporaneità dei risultati?

Un sistema analogico privo di memorie, un sint modulare economico ad esempio, non garantisce sistemi particolarmente raffinati di ripetizione dei risultati… al massimo, si può riprodurre graficamente la posizione dei controlli e sperare di ricostruire con accuratezza quanto ottenuto dopo ore di tentativi più o meno casuali. Per alcuni musicisti, per chi improvvisa, per chi ama la sfida (o, più semplicemente, per chi non ha il cliente in studio), tutto questo è stimolante; ma se, a distanza di due mesi, dovete assolutamente ricostruire quel suono di bouncing balls che avete buttateo per sbaglio nel promo, la memorizzazione diventa indispensabile.

Memorizzare significa convertire in valori numerici. Valore numerico significa software o controllo software. Chi lavora con Mac e PC non ha certo problemi del genere; chi lavora con Arturia MiniBrute, per dire, sa bene cosa significhi dover dettagliare graficamente le regolazioni di pannello. Ogni sistema ha il proprio fascino; ma ogni settore professionale ha i propri requisiti indispensabili. Interrogatevi con onestà prima di prendere una decisione.

 

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Monofonia? Polifonia?

Sembra una sciocchezza, ma è una domanda tremenda… in pratica, significa “cosa devi fare con questa macchina?” o, se preferite “cosa sei disposto a rinunciare con il tuo strumento?”.

Lo strumento polifonico può anche lavorare in monofonia, ma software a parte, quasi sempre offrirà meno controlli e meno gestione dinamica rispetto ad un equivalente sistema monofonico. Lo strumento a singola voce, ovviamente, non prende accordi, quindi si candida solo per bass, lead, effetti, trattamento audio e poco altro.

Prendere “accordi” non significa solo accompagnare Enzo Ghinazzi in un’esaltante versione di Gelato al cioccolato”… può significare anche risolvere con velocità una parte armonica, sfruttare creativamente la distorsione armonica di un circuito mentre si suonano bicordi e tricordi particolari, eccetera. In tutti i casi, un sistema versatile garantisce maggior margine di manovra, ma richiede più tempo per essere domato.

Se – per dire – siete stati chiamati a sostituire Patrick O’Hearn in una synth band, e il vostro compito sarà solo fornire bassi convincenti, potete anche portarvi appresso un Sub 37 Moog (che, tra l’altro, è bifonico…) o succedanei. Ancora una volta, il compito che deve essere svolto imposto le soluzioni da adottare.

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Mono timbricità, poli timbricità?

Nel software, la differenza quasi non ha più senso: un plug-in mono timbrico può essere istanziato su sette tracce MIDI indipendenti per ottenere poli timbricità a sette parti. Un sistema hardware (auspicabilmente polifonico) impone in partenza i propri limiti timbrici: il nuovo Prophet 6 è mono timbrico, ma proprio per questo è di una semplicità a prova di bomba (accendi, programmi, suoni e godi); i vecchi Oberheim Xpander erano a sei parti timbriche monofoniche; un qualsiasi rack Roland della serie XP ha ancora oggi tanta di quella potenza (poli) timbrica da tacitare qualsiasi richiesta possa arrivare lungo tutti e sedici i canali MIDI.

Ma, ed eccoci al dunque: è necessario, veramente necessario, fare tante cose diverse simultaneamente? Non è che, per caso, basta una cosa ben fatta e poi si passa ad altra istanza o ad altra traccia audio?

Ad ogni modo, specie in hardware, ogni istanza timbricamente indipendente deve avere a che fare con un’uscita audio indipendente, per garantire possibilità di trattamento e filtraggio separati suono per suono. Ancora una volta, il plug-in “puro” non avrà mai di questi problemi.

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