Arturia Mini-Filter V: come ti filtro un unicorno
È di questi giorni il rilascio da parte di mamma Arturia di non uno, ma tre filtri software ricalcati filologicamente su altrettante controparti hardware: complice una recente apparizione dell’Invisibile Unicorno Rosa, diamo un’occhiata rapida al tenebroso Mini-Filter V.
Di Jacopo Mordenti
Il pupo – manco a dirlo – è mutuato dal filtro transistor ladder implementato da Moog nel sempreverde sintetizzatore Mini: offre dunque un comportamento passabasso con una pendenza di 24 dB per ottava, una pronunciata – ancorché fisiologica – riduzione dell’ampiezza del segnale in uscita correlata all’aumento della risonanza, e in definitiva un risultato timbrico che pretende di essere non necessariamente ecumenico, ma certo riconoscibile. Una prova su strada?
Nell’economia di questo primo estratto unicornesco da “Pink is the new black”, al Mini-Filter viene demandato il compito di biscottare quel drumkit sintetico che accompagna la controparte acustica per buona parte del pezzo. La combinazione fra i cardini del filtro, significativamente collocati da Arturia al centro dell’interfaccia grafica, è ovviamente indispensabile per la buona riuscita dell’operazione:
- Frequenza di taglio a metà corsa
- Risonanza (qui indicata come Emphasis) generosa, peraltro automatizzata via MIDI CC così da passare alla bisogna da 5/10 a 7/10 a 10/10, portando il circuito in prossimità dell’auto-oscillazione (ferma restando la prudenziale attivazione della modalità Limit Resonance, in calce all’interfaccia).
- Volume di uscita relativamente modesto, così da avere un buon margine di manovra per compensare – sempre via MIDI CC – la perdita prodotta collateralmente dalla risonanza.
- Drive a 0, ché qui e ora la saturazione del circuito, con tutto quello che comporta in termini di distorsione armonica del segnale e via dicendo, non interessa.
- Rapporto DRY/WET a 10/10, funzionale dunque all’uscita del solo segnale filtrato.
Bene, ma non benissimo: il bello a ben vedere arriva solo ora, vale a dire quando dalla regolazione dei parametri di cui sopra si passa alla loro modulazione. È probabilmente qui che va individuato il quid del Mini-Filter, che mette a disposizione dell’utente ben tre modulatori (un LFO, uno step sequencer e un envelope follower) capaci non solo di intervenire su frequenza di taglio e risonanza, ma anche di interagire fra loro. Entriamo un nonnulla nel merito?
- Low Frequency Oscillator: forma d’onda Sample & Hold; velocità agganciata al tempo della DAW; modesta modulazione della frequenza di taglio – con polarità positiva – e altrettanto modesta modulazione della risonanza – ma con polarità negativa. A 0 la fase della forma d’onda, e così la modulazione dell’intervento dello step sequencer sulla frequenza di taglio, modulazione che di per sé sarebbe una prima chicca…
- Step Sequencer, giustappunto: quattro step impiegati sugli otto disponibili; velocità agganciata al tempo della DAW; smooth a 0 ovvero nessun trascinamento dei valori da uno step all’altro, al grido di brusco è bello. Massima la modulazione della frequenza di taglio, nulla quella della risonanza e della velocità dell’LFO (altra chicca…).
- Envelope Follower: reattività al segnale in ingresso a metà corsa; lo stesso dicasi per i segmenti di attacco e rilascio. Attenzione: frequenza di taglio e risonanza NON sono interessate da questo modulatore, che viene speso esclusivamente per modulare generosamente la velocità dell’LFO di cui sopra. Un’opzione che rappresenta la terza e ultima chicca dell’architettura del Mini-Filter…
… Ma dunque come suona, il pupo? Chi scrive, mettendo insieme anagrafe e formazione, è sempre stato poco o nulla interessato alla pretesa filologia delle innumerevoli operazioni nostalgia che animano il mercato di strumenti ed effetti virtuali, perciò – non me ne voglia Arturia – la corrispondenza puntuale o meno puntuale fra il comportamento del Mini-Filter V e il modello di partenza può tutto sommato rappresentare un tema secondario. Più interessante è forse notare quanto Mini-Filter V suoni bene in sé: dalla sua ha una personalità marcata e ineludibile – con tutto ciò che ne consegue in termini di impiego concreto in un arrangiamento specifico – ma soprattutto una flessibilità operativa che lo rende un processore potenzialmente mooolto più creativo di quanto sulle prime si potrebbe ritenere. A questo punto, la voglia unicornesca di mettere le mani anche sulla virtualizzazione arturiana dei filtri SEM e Matrix12 si fa solleticante…
Alla prossima!
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